Omelia del Vescovo per la Commemorazione della Passione del Signore – 2018

Cattedrale di Crema, 30 marzo 2018

Rileggendo, e ora riascoltando la Passione secondo Giovanni, mi ha colpito la precisione e anche quasi l’insistenza con la quale l’evangelista menziona i luoghi nei quali si svolgono le diverse vicende. Giovanni, forse, vuole confermare così il rigore anche storico del suo racconto: nel quarto vangelo, però, non è mai sufficiente fermarsi solo alla precisione dei dati. Per Giovanni, i fatti, i luoghi, le ore, tutto parla alla fede, che cerca di contemplare Gesù nel momento culminante di tutta la sua vicenda, nel mistero dell’«ora» in cui si compie il suo passaggio definitivo da questo mondo al Padre, passaggio che è al tempo stesso l’ora della salvezza e della nascita del mondo nuovo.

Provo a ripercorrere brevemente questi luoghi, a cominciare dal giardino, «al di là del torrente Cedron», dove, nota l’evangelista, «Gesù spesso si era trovato… con i suoi discepoli» (18, 1). Tutto comincia dunque in un luogo di familiarità consueta tra Gesù e i suoi, familiarità che ora, però, si interrompe. Questo giardino diventa il luogo del tradimento, dove Giuda conduce coloro che arrestano Gesù; diventa il luogo dell’incomprensione, dove Pietro (ma in lui dobbiamo vedere anche gli altri discepoli) mostra di non aver ancora capito qual è la via che Gesù ha scelto di percorrere.
Però è anche il luogo nel quale Gesù continua a prendersi cura dei suoi, a proteggerli e a difenderli, perché nulla di male accada a loro. Gesù sa che, da questo momento, egli dovrà continuare da solo: ma è una solitudine provvisoria e necessaria, per ritrovare dopo, più solida e piena, la familiarità con i discepoli. Pietro e gli altri, per ora, non possono seguire Gesù: ma lo seguiranno più tardi (cf. Gv 13, 36; 21, 19), non facendo più conto sulle proprie forze o entusiasmi, ma sulla vita nuova, che riceveranno da Gesù morto e risorto.

Il secondo luogo è la casa del sommo sacerdote, casa che rimanda anche agli altri luoghi, nei quali Gesù – lo ricorda lui stesso rispondendo all’interrogatorio – ha svolto il suo ministero: la sinagoga e il tempio. Questo secondo luogo rappresenta insomma «la casa di Israele», il popolo scelto da Dio e al quale Gesù è stato mandato. Fin dall’inizio del vangelo, Giovanni ricorda che Gesù era venuto «fra i suoi», nella sua casa, «ma i suoi non l’hanno accolto» (1, 11). Questo secondo luogo è dunque quello del rifiuto: ricorda che il Messia, inviato da Dio al suo popolo, è stato respinto. Ma questo luogo ci ricorda pure che la risposta di Gesù a questo rifiuto è stata precisamente la sua morte per il popolo di Dio, a suo favore: con la sua ironia caratteristica, l’evangelista rievoca la profezia «malgrado suo» del sommo sacerdote: «È conveniente che un uomo solo muoia per il popolo» (18, 14; cf. 11, 50). Lo stesso evangelista, qualche capitolo prima, aveva commentato queste parole di Caifa dicendo che egli «profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione [cioè per Israele], ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (11, 51 s.).

E questo ci porta al luogo successivo, che è il palazzo del procuratore romano, dove avviene il processo a Gesù, processo al quale Giovanni presta molto attenzione. Siamo nel luogo dei pagani, dove i capi di Israele non vogliono entrare per non contaminarsi; ma Gesù entra in questo luogo, che è per lui il luogo del giudizio, un tribunale dove avviene però un capovolgimento straordinario, perché l’accusato è riconosciuto innocente, il malfattore è onorato come un re, il prigioniero, privo di libertà e di potere, si rivela come il fondamento di ogni autorità e libertà e verità. Certo, tutto questo avviene in modo paradossale, perché agli occhi del mondo Gesù è veramente condannato come un malfattore; è re, ma per burla, per derisione; parla di autorità e di verità, ma è prigioniero e vittima della menzogna e dell’ingiustizia… Ma sempre l’evangelista ci invita a leggere tutto con occhi diversi, gli occhi illuminati dalla fede, che sanno capire che il vero giudice è proprio Gesù, e il suo giudizio condanna – ma dalla croce – tutte le mistificazioni, le menzogne, le ingiustizie, le prevaricazioni che ancora e sempre sfigurano l’uomo.

Lo sguardo illuminato dalla fede è ancora indispensabile quando si arriva al luogo decisivo, «il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero» (19, 17 s.). Questo è il luogo dell’«innalzamento», il luogo nel quale volgere lo sguardo a colui che è stato trafitto (cf. 19, 37), perché questo sguardo orientato a Cristo crocifisso, grazie allo Spirito che Gesù stesso dona nel suo ultimo respiro, può vedere l’opera misteriosa di Dio che proclama la regalità del suo Figlio, dona la vita lì dove c’è la morte e porta a compimento ogni promessa di salvezza e di pace per il mondo. Lo sguardo orientato al Cristo innalzato sulla croce, sul Gòlgota, sa vedere l’azione di Dio che prepara la creazione nuova.

Si ritorna così, alla fine, in un giardino, nel quale si trova anche «un sepolcro nuovo» (19, 41), dove viene deposto il corpo di Gesù. Questo giardino è il grembo della creazione nuova, inaugurata dalla Pasqua del Signore. Comprendiamo così ciò che il Creatore ha da sempre voluto per l’uomo, creato e posto fin dall’inizio nel giardino della familiarità con Dio e della vita buona, e chiamato a far fiorire questo giardino nella bellezza di un’umanità secondo il cuore di Dio. L’uomo non ha risposto a questa vocazione, ma Dio non si è arreso: nel suo Figlio, fatto uomo per noi e umiliato fino alla morte di croce, ha attraversato tutti i luoghi della nostra povertà umana, dei nostri rifiuti, dei peccati, degli inganni, delle menzogne, delle violenze, delle indifferenze, per riaprire a noi il suo giardino e far rifiorire, nella Pasqua di Gesù, il sogno di un’umanità redenta.

Contempliamo anche noi, nella Passione del Signore, il principio di questa creazione nuova; lasciamo raggiungere dall’amore e dal perdono di Dio, per partecipare, nello Spirito di Cristo, al rinnovamento di tutti i luoghi del nostro vivere quotidiano e per contribuire a fare della sua Chiesa la casa di un’umanità che incomincia a rifiorire nella primavera di Dio.