Omelia del vescovo Daniele per l’ultima sera della Novena a s. Pantaleone

Cattedrale di Crema, 14 marzo 2020

A qualcuno l’intenzione di preghiera di questa sera sembrerà un po’ «fuori linea», rispetto a quelle che hanno punteggiato ogni giorno della nostra Novena, affidata all’intercessione di san Pantaleone. Abbiamo pregato per i malati e per chi li ha in cura; per le famiglie, per i lavoratori, per chi ha responsabilità di governo, per i poveri, per il Papa e i vescovi e i sacerdoti… abbiamo ricordato le nostre comunità private della possibilità di partecipare anche fisicamente alla celebrazione dell’Eucaristia…
Ma perché pregare per i peccatori? O almeno – visto che certo è opportuno pregare sempre per i peccatori, che siamo poi tutti noi – perché questa preghiera proprio in questa situazione?
Si potrebbero dare, credo, molte risposte a questa domanda. Ma forse la ragione più concreta, molto semplicemente, è che tanti nostri fratelli e sorelle sono stati indotti, dalla situazione che viviamo, a guardare più attentamente del solito al proprio rapporto con Dio, e a ripensare anche alle proprie infedeltà e ai propri peccati.
Penso che, in realtà, dovremmo farlo tutti – se non l’abbiamo ancora fatto. L’emergenza che stiamo vivendo coincide con il tempo della Quaresima, tempo per eccellenza della conversione; tempo nel quale  le penitenze che possiamo scegliere, ma anche quelle che non ci siamo scelte, come la crisi di queste settimane, possono rinnovare in noi il desiderio di una risposta sempre più forte e vera all’amore di Dio, partendo da un rinnovato no al male e al peccato che insidiano la nostra vita.
È bene ricordare che Gesù, nei vangeli, associa la guarigione del corpo al perdono dei peccati (cf. Mc 2, 1-12; Gv 5, 1-14). Non perché si debba vedere la malattia come una punizione per i peccati: è un’idea che qualche volta serpeggia ancora, anche a proposito di questa crisi: ma Gesù la esclude esplicitamente (cf. Gv 9, 1-3)! E dobbiamo liberarci una volta per tutte dall’idea di un Dio «punitore», vendicativo: un Dio che non ha niente a che fare con il Padre, che Gesù ci insegna a conoscere e ad amare. 
Certo, preme a Gesù di «restituire» a Dio, al Padre, l’uomo nella sua pienezza; e non c’è vera pienezza, se l’uomo rimane nel peccato. Nella parabola che abbiamo ascoltato (Lc 15, 1-3.11-32), la degradazione nella quale va a finire il figlio minore, una volta abbandonata la casa del padre, dà un’idea fortissima di dove va a finire la scelta del peccato. E che questa degradazione non riguardi solo i singoli, ma possa ripercuotersi sulla vita di tutti e su tutto il nostro mondo, dobbiamo esserne ben consapevoli – e bisognerà che anche questa crisi ci faccia riflettere, al riguardo.
In ogni caso, Gesù, che pure ha guarito molti malati, si è presentato sì come medico, ma un medico venuto per i peccatori: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2, 17).
Non possiamo dissociare, quindi, la questione della malattia e la questione del peccato; e si può ben capire che ci sia chi, nelle nostre comunità, sente con molta forza l’emergenza del Coronavirus come un invito alla conversione, a lasciarsi raggiungere dal «tempo favorevole» della conversione. Tutti, ripeto, dovremmo lasciarci raggiungere da questo invito.
In conseguenza di questo, c’è anche chi sente il bisogno di celebrare il Sacramento della Penitenza, e soffre del fatto che anche questo sia difficile. Questa celebrazione è possibile, e anzi desiderabile; le indispensabili precauzioni sanitarie per lo più non sono insormontabili. Ma ci sono anche situazioni difficili: e penso in particolare a chi è in ospedale, nelle case di riposo, alle persone anziane o malate, che bisogna salvaguardare dal rischio di ulteriori complicazioni… Come possiamo ricevere il perdono del Signore, se diventa difficile o addirittura impossibile confessarsi?
Già da molto tempo la Chiesa sa che possono esserci situazioni di questo genere. Per questo dice, ai peccatori che desiderano veramente il perdono di Dio, ma non per colpa loro sono impediti di accedere al Sacramento della Penitenza: non scoraggiarti; esprimi davanti a Dio tutto il dolore per il tuo peccato, il tuo desiderio sincero di cambiare vita, e anche il tuo desiderio di confessarti, quando ti sarà concretamente possibile. E abbi fiducia nel perdono di Dio, che può raggiungerti anche quando gli strumenti ordinari di questo perdono, come la confessione, non sono possibili.
Dico tutto questo perché l’invito alla conversione non dev’essere per noi un peso: è un invito alla gioia, alla pace con Dio – ce ne parlerà la seconda lettura della Messa di domani – e tra di noi.
Non possiamo ancora prevedere se potremo vivere le confessioni in preparazione alla Pasqua come si faceva normalmente: lo spero vivamente; se non potremo, avremo certamente modo di ricuperare dopo. Intanto, però, l’invito di Dio ad accogliere il suo perdono, a sperimentare l’abbraccio del suo amore, a convertirci, ad accoglierci gli uni gli altri nella carità vicendevole, resta vero e forte anche in questa stagione difficile. E, forse, proprio la difficoltà che viviamo ci permetterà di ritrovare in modo nuovo la via del perdono: quello che viene da Dio, e quello che sempre più dobbiamo scambiarci tra di noi.  

Ci conceda Dio la grazia di questo perdono e della vita nuova, nel suo Figlio Gesù, insieme con la salute del corpo, per la quale continuiamo a pregare e a operare, senza stancarci.