Omelia del vescovo Daniele per l’inizio della novena a san Pantaleone

La sera di venerdì 6 marzo, nella Cattedrale di Crema, a porte chiuse, il vescovo Daniele ha presieduto la prima celebrazione della Novena a san Pantaleone, indetta in diocesi dal 6 al 14 marzo, a seguito dell’emergenza sanitaria da ‘Coronavirus’ (Covid-19). La celebrazione, come tutte le altre, è stata trasmessa in diretta streaming e per radio. Qui di seguito viene riportata l’omelia del vescovo.

Nella nostra novena di preghiera, che in questo tempo difficile vogliamo presentare a Dio con umile fiducia, attraverso l’intercessione di san Pantaleone, non potevamo non pregare prima di tutto per gli ammalati.
Stiamo vivendo un’emergenza che tocca la vita di tutti, ma che, in concreto, riguarda le persone che vengono contagiate e, tra di loro, quelle che più ne patiscono complicazioni anche molto serie, che spesso si aggiungono a problemi precedenti; il tutto, poi, dentro le condizioni difficili degli ospedali, con le limitazioni che riguardano le possibilità di visita per famigliari e amici…
Avere, come protettore della nostra diocesi, un santo che esercitò la professione di medico, come san Pantaleone, ci dovrebbe rendere particolarmente sensibili nei confronti degli ammalati: e non solo, evidentemente, di quelli di cui abbiamo notizia in questi giorni, ma di tutti quelli che devono affrontare la prova della malattia.

Il vangelo della Messa di oggi (Mt 5, 20-26), che abbiamo ascoltato poco fa, non dice nulla a proposito di salute e malattia. Ci offre, però, una parola importante, dalla quale vorrei partire per condividere qualche spunto di riflessione: ed è la parola «superare». La troviamo nel primo versetto del vangelo: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (5, 20). 
Non mi interessa, qui, chiedermi come fosse la «giustizia di scribi e farisei»; anche perché questo verbo, «superare», lo troviamo nei testi biblici non solo per dire un confronto, ma per dire anche un’altra cosa, che possiamo rendere col verbo «abbondare», o addirittura «sovrabbondare». Credo che non ci si sbaglierebbe a rendere così la parola di Gesù: «Se la vostra giustizia non sarà sovrabbondante, non entrerete nel regno dei cieli».
Non si tratta, cioè, di dire: «quelli fanno tanto, noi vogliamo fare di più, vogliamo superarli, perché siamo più bravi». Non è questo ma, piuttosto: vogliamo darci da fare senza calcolo, senza misura, senza stare lì a confrontare chi fa più e chi fa meno. La nostra «misura», se vogliamo proprio usare questa parola, è l’amore sovrabbondante, «esagerato», di Dio per noi.
Egli, dice Paolo scrivendo agli Efesini, ha riversato su di noi in modo sovrabbondante, senza misura, la ricchezza del suo amore (cf. 1, 8). Per noi, dunque, si tratta di accogliere – perché Dio stesso può rendercene capaci – lo stesso criterio «scriteriato», la stessa misura senza misura.
Appartiene a questa «sovrabbondanza», ad esempio, il modo in cui accogliamo le precauzioni e cautele che ci sono chieste in questi giorni. Sono «eccessive»? Non tocca a me dirlo, sul piano scientifico. Ma come credente posso forse dire: se anche c’è un eccesso di cautela (che mi rende la vita più difficile, che mi limita – anche nelle ‘pratiche’ della mia fede – ecc.), lo accolgo con pazienza, e lo pratico con attenzione, in nome proprio di una premura «sovrabbondante» per la vita e per la salute di tutti.
C’è «sovrabbondanza», io credo, anche nella dedizione di molti operatori della salute, che in questa emergenza si stanno adoperando ben al di là del loro «dovere», per quanto coscienziosamente svolto.
Forse possiamo chiederci come potrebbe «sovrabbondare» la nostra attenzione per gli ammalati, in questi giorni. Perché ci sono limiti, ad esempio, nelle visite, nel contatto diretto: ma ci possono essere altre forme di attenzione, che vanno dalla telefonata, alla vicinanza a chi deve accudire a persone malate in famiglia, alla collaborazione con gruppi o associazioni che si occupano di assistenza agli ammalati, alla preghiera…
Sono convinto che già c’è «sovrabbondanza» di attenzione, in tante situazioni che io neppure conosco; ma possono esserci anche situazioni di fatiche, di trascuratezza, malati per i quali sarebbe necessario un supplemento di attenzione…
Se anche siamo un po’ limitati nelle nostre azioni, apriamo le orecchie, gli occhi, e soprattutto il cuore, perché attraverso la nostra attenzione sovrabbondante per loro, gli ammalati possano conoscere la cura di Dio per i suoi figli, e trarne consolazione e fiducia.