Omelia del vescovo Daniele per la terza domenica di Quaresima

Anche domenica 15 marzo 2020, per il perdurare dell’emergenza sanitaria CoViD-19, non si è potuto celebrare l’Eucaristia domenicale con la presenza del popolo di Dio. Il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale la santa Messa delle ore 10, che è stata trasmessa in diretta streaming e via radio. Al termine della celebrazione, il vescovo è uscito dalla Cattedrale portando il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, con il quale ha benedetto la città di Crema e tutta la diocesi. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.

 

Questa lunga e ricca pagina di vangelo (Gv 4, 5-42) mi è molto cara per tanti motivi: non da ultimo per il fatto che era stata proclamata anche nella Messa della mia Ordinazione episcopale, tre anni fa. Commentare adeguatamente questa pagina richiederebbe però molto tempo e molte competenze, che io non ho. Penso che potrebbe essere più utile, per noi, nel contesto della Messa di questa terza domenica di Quaresima, ancora celebrata senza il popolo di Dio per via dell’emergenza sanitaria CoViD-19, riflettere su qualche spunto che il vangelo ci offre proprio in rapporto alla situazione che stiamo vivendo. Propongo tre spunti, che mi sembrano più significativi.

1. Il primo viene dalla prima parte del dialogo tra Gesù e la donna di Samaria, che va al pozzo di Giacobbe a Sicar a compiere il gesto elementare, ancor oggi affidato in tante parti del mondo a donne e bambini: andare ad attingere acqua. Dell’acqua abbiamo bisogno per vivere, e la sete, la mancanza di acqua è uno dei simboli fondamentali e più significativi dei nostri bisogni e desideri. Proprio a partire da questo desiderio incomincia il dialogo tra Gesù e la donna: ma incomincia con un rovesciamento affascinante, perché è la donna che va ad attingere, ma è Gesù che per primo chiede: «Dammi da bere» (v. 7).
C’è un desiderio dell’uomo, e c’è un desiderio di Dio, che si incontrano al pozzo di Giacobbe. Noi stiamo vivendo, in questi giorni, molte situazioni di mancanza. Ci mancano tante cose della nostra vita «normale», ordinaria; ci sono tanti desideri che devono essere bloccati, desideri che, per il momento, devono restare fermi, non possono essere soddisfatti. È vero che possiamo scoprire o riscoprire, in questo modo, altri aspetti della nostra vita che avevamo un po’ dimenticato.
Soprattutto, però, la situazione che stiamo vivendo è un invito a farci una domanda: queste mancanze, questi desideri che non possiamo realizzare – anche di cose semplicissime, come poterci incontrare, stringere la mano, avere un rapporto maggiore vicinanza… – che cosa ci dicono? Che cosa desideriamo veramente e profondamente, nella nostra vita?
Il vangelo di oggi è un invito a guardare in profondità, nel nostro desiderare; e a chiederci se, nel nostro desiderare, sappiamo raggiungere il desiderio di Dio stesso, o almeno orientarci in quella direzione.
E qual è questo desiderio? Credo che lo possiamo riassumere così: è il desiderio della vita, della vita piena. È il desiderio che anche noi possiamo partecipare della pienezza di vita che solo Dio può darci, e che si rende visibile in Gesù Cristo, lui che è l’acqua viva, il pane vivo disceso dal cielo. Il vangelo di Giovanni usa moltissime immagini, per dire che ciò che Dio desidera per noi è la vita, e la vita «in abbondanza» (cf. 10, 10), quella che l’evangelista chiama anche la «vita eterna» (cf. ad es. 3, 15): ma una vita eterna che noi possiamo sperimentare, pregustare, a patto di lasciare allargare il nostro desiderio fino alla misura del desiderio di Dio.
Io spero che anche le tribolazioni di questi giorni ci aiutino a guardare a fondo nel nostro desiderio, perché esso si lasci aprire fino alla misura del desiderio di vita in pienezza, che è il desiderio di Dio per noi, e al quale Egli risponde donandoci il suo Figlio Gesù Cristo. 

2. La seconda riflessione che vorrei proporre si rifà a un altro momento del dialogo tra Gesù e la donna: una parte del dialogo che a noi, forse, sembra meno importante. La samaritana chiede a Gesù quale sia il luogo nel quale si deve adorare Dio (cf. 4, 20).
All’epoca c’era una disputa, tra i samaritani, i quali ritenevano che questo luogo fosse il Garizim, il monte di Samaria, e i giudei, secondo i quali l’unico luogo nel quale incontrare Dio doveva essere il tempio di Gerusalemme. Il monte di Samaria, dunque, o il tempio di Gerusalemme? 
Gesù relativizza il problema relativo al luogo, perché «viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (v. 23). Non si tratta, cioè, di un luogo fisico: Dio, il Padre, si lascia incontrare e adorare in Gesù stesso. È lì che bisogna incontrare Dio: attraverso ciò che di Dio ci viene comunicato, rivelato, fatto conoscere e amare da Gesù Cristo.
Da una parte, questa risposta ci tranquillizza, anche rispetto al fatto che, in queste settimane, non possiamo frequentare, i luoghi della nostra fede, e in particolare le nostre chiese, come facevamo abitualmente. Certo, le lasciamo aperte, anche come segno, e con la speranza che, sia pure nelle limitazioni degli spostamenti di questi giorni, sia possibile entrare un momento in chiesa per un po’ di preghiera e adorazione. Le parole di Gesù ci dicono che in ogni luogo, anche nelle nostre case, anche nelle nostre stanze, noi possiamo incontrare Dio, perché lo incontriamo in Gesù Cristo, lo incontriamo nel dono dello Spirito, che sempre ci accompagna e ci sostiene.
D’altra parte, però, la «relativizzazione» del luogo fa nascere un’altra domanda: ci importa veramente incontrare Dio? Ci importa adorarLo, averLo al centro della nostra vita? Ancora una volta, io spero che il fatto di non poterci ritrovare insieme nelle nostre chiese, di non poter insieme i nostri gesti di preghiera e adorazione in questi edifici che i nostri padri hanno costruito perché la comunità cristiana vi si potesse riunire, faccia rinascere in noi non soltanto il desiderio di poter tornare nelle nostre chiese, ma soprattutto il desiderio di un incontro vero, autentico, con Dio nella nostra vita.

3. Terza e ultima riflessione: la prendo dal dialogo di Gesù con i discepoli, dialogo che è una grande parola di speranza.
Gesù invita i discepoli ad alzare lo sguardo: «Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura?» (in Palestina la mietitura avviene un po’ prima che da noi; ma forse queste parole sono state dette in un periodo dell’anno non molto diverso da quello che stiamo vivendo; anche da noi, fra quattro-cinque mesi, ci sarà la mietitura); «ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» (v. 35). 
Gesù sta dicendo ai discepoli qualcosa che non riguarda evidentemente solo la mietitura dell’orzo o del grano: si tratta, invece, della mietitura di quel raccolto di grazia e di salvezza, che Dio sta preparando. Gesù dice ai discepoli: questo raccolto già adesso germoglia, già sta maturando, e voi potrete mieterlo; e potrete farlo anche se voi non avete fatto niente, per preparare questo raccolto (cf. vv. 36-38).
Vorrei che questa parola raggiungesse anzitutto i miei fratelli preti che forse, più che mai, in queste settimane si sentono impotenti. Le nostre attività pastorali sono quasi azzerate, non sappiamo bene che cosa fare; ci sembra di essere «inutili». Eppure il Signore promette a noi, in particolare a noi pastori, un grande raccolto, perché è lui a farlo crescere e a portarlo a maturazione; e lo fa nei modi più impensati, anche quando noi abbiamo le mani legate e non sappiamo che fare. C’è dunque qui una grande parola di speranza, e un invito a perseverare nella nostra dedizione al Signore e nel nostro servizio alle comunità.
Ma vorrei che questa parola di speranza la sentissimo tutti noi, anche attraverso le tribolazioni che in modi diversi viviamo in questi giorni, e con le quali dovremo probabilmente fare i conti ancora per un po’, anche per conseguenze che non potranno essere riassorbite tanto presto. Anche attraverso tutto questo, la nostra fede ci dice che Dio prepara un raccolto abbondante.
Circola molto, in questi giorni, lo slogan: «Andrà tutto bene». Vorrei rileggerlo in chiave cristiana, richiamando una parola dell’apostolo Paolo: «Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (Rm 8, 28).
Sappiamo, nella fede, che Dio farà cooperare tutto in bene, anche ciò che a noi sembra un limite e un male. Alziamo anche noi lo sguardo, guardiamo al raccolto, alla mietitura abbondante che Dio sta preparando, e disponiamoci a essere partecipi di questa grazia, e anche dell’impegno di vita credente che questo dono di Dio chiede a tutti noi. Ogni dono di Dio, infatti, è anche un compito: quello di vivere e testimoniare la grazia, la bellezza dell’amore di Dio, in ogni tempo, in ogni situazione, anche nella difficoltà attuale, dalla quale Dio – ne siamo sicuri – ci aiuterà a uscire.