Omelia del vescovo Daniele per la seconda domenica di Quaresima

Anche per la seconda domenica di Quaresima (8 marzo 2020) non si è potuto celebrare pubblicamente l’Eucaristia domenicale, a causa dell’emergenza sanitaria “CoViD-19”. Il vescovo Daniele ha presieduto in cattedrale, alle ore 10, la Messa che è stata trasmessa in diretta streaming e attraverso RadioAntenna5. Qui di seguito l’omelia tenuta dal vescovo.

Vorrei offrire, rifacendomi alle letture bibliche di questa seconda domenica di Quaresima, alcuni spunti di riflessione che ci aiutino a vivere il momento che stiamo attraversando.

È un momento difficile, segnato dal fatto che non sappiamo bene che cosa succederà, quali potranno essere ancora gli sviluppi dell’epidemia del Coronavirus, per quanto tempo dovremo rimanere nelle condizioni di limitazioni che stiamo vivendo, e così via. Abbiamo davanti a noi uno scenario per tanti versi ignoto.
Per guardarlo da credenti, ci viene in aiuto la figura di Abramo (cf. I lettura: Gen 12, 1-4). Il comando che Dio gli dà – «Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» – è precisamente il comando di partire verso l’ignoto. Abramo deve lasciare una situazione che conosce, e nella quale forse è anche un personaggio importante, per avventurarsi incontro a un futuro di cui non sa praticamente nulla: «partì senza sapere dove andava» (Eb 11, 8).
Eppure partì, fidandosi di Dio, della sua parola, della sua promessa; partì sapendo che nel suo cammino verso questo futuro sconosciuto, Dio lo avrebbe accompagnato.
La fede di Abramo è quella che può accompagnare anche il momento che stiamo vivendo. Abramo è «il nostro padre nella fede» (cf. Rm 4, 16): e proprio in questa fede ci è chiesto anche di vivere questi giorni incerti, nei quali non sappiamo bene quali iniziative, quali passi fare, perché la vita delle nostre comunità non si spenga. Siamo anche noi incamminati verso l’ignoto, e come Abramo andiamo avanti, affidandoci alla parola del Dio fedele, e contando su di Lui.

Andiamo avanti, però, anche con la convinzione che qualche raggio di luce lo possiamo scorgere. La trasfigurazione del Signore può essere capita, almeno fino a un certo punto, pensando a un’esperienza, che forse qualcuno di noi ha vissuto, e che anche a me è capitata: l’esperienza di trovarsi, cioè, smarriti, al buio, o nella nebbia, su sentieri di montagna o perdendosi anche, e quindi senza più avere riferimenti o indicazioni. Poi, a un certo punto, brilla una luce, scorgiamo un riferimento, vediamo qualcosa che ci permette di dire: ecco, è lì che dobbiamo andare, lì c’è una strada percorribile. Anche se dobbiamo camminare ancora a lungo, questa luce ci ha dato un’indicazione, ha fatto brillare la speranza di non perderci, di raggiungere la meta.
Anche Gesù è in cammino verso la sua Pasqua; è in cammino verso la passione e la croce, anche lui sente le tenebre che si avvicinano e lo avvolgono sempre di più. Ma Dio fa brillare per lui la sua luce; egli stesso, anzi, diventa il riflesso di questa luce che gli dice come il cammino che sta compiendo sia destinato alla vita e non alla morte, alla pienezza e non al fallimento.
In questi giorni potremmo provare a ricuperare, nella nostra memoria, quali sono state le occasioni nelle quali Dio ha fatto brillare per noi qualche luce. Ciascuno di noi, credo, può ritrovare il ricordo di occasioni di questo genere, ed esserne sostenuto anche nell’ora presente.

La terza indicazione la prendo dalla parola che i discepoli di Gesù si sentono rivolgere mentre sono sul monte. Anch’essi sono rimasti ammirati davanti a questa luce, che ha acceso in loro il desiderio di essere sempre lì (cf. Mt 17, 4); ma anche per loro il cammino deve ricominciare; e ricomincia con la parola di Dio, che dice loro: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (v. 5).
Nei Vangeli, per lo meno in quelli di Matteo, Marco e Luca, che riportano il racconto della trasfigurazione, noi non sentiamo mai Dio parlare, se non in questa occasione e in quell’altra, che viene prima, del battesimo di Gesù al Giordano. E anche in quel caso, l’unica cosa che Dio dice è: «Questi è il Figlio mio, l’amato…» (Mt 3, 17). L’unica parola che Dio ci dice è: guardate a Gesù Cristo, ascoltate lui, camminate nella sua via. Dio ci ha già detto tutto, nel suo Figlio Gesù Cristo.
Forse, in questi giorni, ci siamo chiesti: che cosa ha da dirci Dio, in questa situazione? Quale parola potrebbe farci arrivare, perché possiamo vivere questo tempo difficile? Ebbene, la risposta è lì: questa parola, Dio ce l’ha già detta: è il Signore Gesù Cristo.
In questi giorni, nei quali altri aspetti della nostra vita di fede, in particolare quelli comunitari, sono limitati, potremmo prenderci l’impegno di leggere ogni giorno qualche versetto del vangelo. Nell’ora un po’ complicata e difficile che stiamo vivendo, quella parola – magari sentita tante volte, ma senza venirne toccati in modo profondo – potrebbe suggerire qualcosa di nuovo, e farci capire che cosa Dio ha da dirci, attraverso la vita, le parole, i gesti, la vicenda del suo Figlio Gesù Cristo.
E certamente, in ogni parola, in ogni vicenda, in ogni azione, sentiremo il Signore Gesù che si fa vicino e dice anche a noi ciò che dice ai discepoli: «Alzatevi e non temete!» (Mt 17, 7).

E vengo a un ultimo spunto di riflessione. Dicevo prima: nei momenti difficili, quando ci sentiamo smarriti e non sappiamo bene quale direzione prendere, qualche luce ci viene data; e possiamo far memoria delle luci che in passato, in ore difficili della nostra vita, Dio ha acceso per noi. Ma possiamo anche chiederci: e se anch’io fossi chiamato a essere luce per qualcun altro? A essere strumento di incoraggiamento, di sostegno, aiuto e orientamento?
Certamente sono chiamati ad esserlo, ad esempio, i genitori nelle loro famiglie. Questa mattina, al termine della Messa che ho celebrato nella chiesa del nostro Ospedale, una dottoressa, mamma di tre figli, è venuta a ringraziare, e a confidare anche un poco di tutto il peso che sta portando, lavorando in questi giorni in Ospedale; e mi ha detto qualcosa anche di come ha cercato di spiegare ai suoi figli – almeno ai due più grandi, perché il terzo è ancora molto piccolo – la situazione che stiamo vivendo, le ragioni del suo impegno straordinario, che le impedisce di stare in famiglia e con i figli quanto lei vorrebbe.
Così lei ha fatto brillare un po’ di luce per i suoi figli. Ma anche per lei qualcuno ha acceso un raggio di luce: alcune amiche, che l’avevano sentita in difficoltà, le hanno fatto trovare in regalo una pianta e si sono impegnate a cucinare per la sua famiglia, visto che lei deve passare molte più ore in ospedale. Come mi ha detto: «Mi è sembrato di vivere il pezzo di vangelo in cui Gesù dice alla vedova “donna, non piangere”: Gesù me lo ha detto attraverso quelle amiche».
Sono esempi di qualcosa che tutti potremmo fare. Tutti abbiamo, probabilmente, qualche persona alla quale offrire una parola, un gesto di consolazione, di speranza, di fiducia. Possiamo essere, per loro, un raggio di luce che trasfigura questo tempo faticoso.

E tutti insieme ci affidiamo alla misericordia di Dio; continuiamo a vivere con fiducia questo tempo di Quaresima, nella certezza che la Pasqua del Signore ci aspetta, e sarà per noi, e per tutti, dono di grazia, di risurrezione, di vita nuova.