OMELIA DEL VESCOVO DANIELE PER LA FESTA DI S. MARIA DELLA CROCE

Basilica di Santa Maria della Croce, 3 aprile 2018

Nella gioia della Pasqua, che la liturgia prolunga per tutti gli otto giorni che si contano a partire dalla domenica di Pasqua, onoriamo la Vergine Maria: in questo giorno, nel 1490, apparve a Caterina degli Uberti, ferita a morte, le portò conforto e aiuto, permettendole di ricevere per l’ultima volta nella sua vita terrena, come lei aveva desiderato, i sacramenti, cioè i gesti e doni di salvezza che scaturiscono dalla Pasqua di Gesù, e che la prepararono alla morte e all’incontro definitivo con Dio.
La vicenda di Caterina ci fa lodare Dio, cha ha manifestato la sua presenza di grazia e misericordia rispondendo in modo visibile, attraverso l’apparizione della Vergine, alla sua preghiera, e che ha continuato a manifestare questa sua presenza d’amore in altri segni avvenuti in questo luogo, e nella stessa fede e devozione dei cremaschi, che vollero questo splendido tempio e ne fecero uno dei luoghi privilegiati della loro pietà, nel passato come oggi.
Al tempo stesso, questa vicenda fa nascere in noi delle domande, alle quali non è sempre facile dare risposta. Perché, possiamo chiederci, Dio, che ha risposto a Caterina facendole il dono di non morire senza i sacramenti, non ha fermato la mano violenta e assassina del marito? Perché non ha fatto sì che il miglioramento delle condizioni di salute di Caterina fosse stabile, e lei potesse ristabilirsi pienamente, anziché morire? E perché, potremmo continuare a chiederci, Dio ancora oggi non ferma la mano di tanti violenti, i cui gesti di morte colpiscono così spesso soprattutto le donne, come le cronache ci raccontano quasi ogni giorno?
A domande di questo genere, lo sappiamo, non è possibile dare risposte del tutto soddisfacenti. Queste domande, del resto, si possono riproporre proprio anche a proposito della vicenda di Gesù, che abbiamo contemplato e meditato nei giorni scorsi, soprattutto durante il Triduo pasquale. Perché, certo, la fede ci fa contemplare in questi giorni il Signore risorto, ci fa guardare a Dio come a Colui che ha risuscitato il suo Figlio dai morti, come al Dio che – lo ha proclamato Pietro nella prima lettura – «ha costituito Signore e Cristo quel Gesù» che era stato crocifisso (cf. At 2, 36); ma sorge sempre anche la domanda: perché Dio ha permesso che il suo Figlio, il solo Giusto, fosse consegnato nelle mani dei peccatori, in una morte ingiusta e atroce? Perché gli ha chiesto di bere al calice della passione, e non glielo ha risparmiato (cf. Mc 14, 36 e par.)?
È solo nell’orizzonte complessivo di tutta la nostra fede che possiamo sperare di trovare almeno un barlume di risposta, soprattutto meditando – come hanno fatto i cristiani delle prime generazioni – le Scritture, secondo le quali il Cristo «doveva patire tutte queste sofferenze per entrare nella sua gloria» (cf. Lc 24, 26). Del resto, non si tratta di cercare una risposta solo per soddisfare la nostra curiosità, ma soprattutto per riuscire a far nostra, con l’aiuto dello Spirito, la sapienza paradossale della croce.

Anche il racconto dell’apparizione del Risorto a Maria di Magdala ci offre un elemento di risposta. Il comportamento di Maria davanti al dramma pasquale si può riassumere nell’espressione (che riprendo dal card. Martini): eccesso dell’amore.
È un comportamento che appare anche in altre figure femminili, che la tradizione ha associato a Maria di Magdala: la peccatrice che bagna i piedi di Gesù con le lacrime e li asciuga con i suoi capelli (cf. Lc 7, 36 ss.), Maria di Betania che, otto giorni prima della Pasqua, «spreca» un’ingente quantità di profumo prezioso per ungere i piedi di Gesù (cf. Gv 12, 1-3)… La corsa di Maria di Magdala intorno al sepolcro di Gesù, le sue lacrime, la sua insistenza nel cercare il corpo… esprimono atteggiamenti forse «imperfetti», sul piano psicologico, emotivo ecc., ma che indicano un eccesso di amore che non bada a calcoli, che non segue criteri di ragionevolezza, che porta in sé persino qualcosa di «folle»… Del resto, l’amore fa compiere follie.
C’è, appunto, una sorta di «eccesso irragionevole», in questo modo di fare: ma proprio questo eccesso irragionevole raggiunge il cuore di Dio e, forse, ne coglie le «ragioni» misteriose, che non si possono spiegare in ragionamenti normali. Questo «eccesso irragionevole» ha portato l’autore dell’Exsultet, che abbiamo cantato nella notte di Pasqua, fino a dire: felice colpa, quella di Adamo, che ci meritò un così grande redentore!
Questo «eccesso irragionevole» può farci intuire, forse, perché Dio «sopporti» il male, per far emergere un bene più grande.
Naturalmente, che Dio «sopporti» il male, non significa che lo giustifichi: il male resta male e il peccato, peccato, e Dio continua a condannarlo. Se mai, questa misteriosa «logica pasquale» ci aiuta a comprendere che, a fronte dell’eccesso del male, che forse vediamo più facilmente, c’è anche un eccesso del bene: che è appunto l’eccesso irragionevole dell’amore di Dio manifestato in Cristo, che poi si manifesta anche nell’eccesso del bene e dell’amore che troviamo in tanti gesti di gratuità, di dono, di abnegazione che vanno ben oltre il criterio della pura giustizia, della stretta misura.
Questa «irragionevolezza dell’amore» la contempliamo anche in Maria, la Madre di Gesù, nel suo stare ai piedi della croce, secondo il racconto di Giovanni: a patto di vedere in lei non soltanto l’«Addolorata», che piange la morte del Figlio, ma la Donna della speranza, la Donna che intuisce che, dalla croce, scaturirà la vita piena: e per questo lei sta là, «sperando contro ogni speranza», partecipe di questo dono di vita, che sembra così «irragionevole».
E nell’invocazione alla Vergine di Caterina degli Uberti, ferita a morte dalla violenza omicida del marito, scorgiamo la stessa speranza, che le fa desiderare non tanto di restare in questa vita, quanto di partecipare all’eccesso dell’amore che Dio ha manifestato in Cristo, e che ci raggiunge in modo particolare nei suoi sacramenti salvifici. Così la vicenda di Caterina ci riporta al cuore della Pasqua che stiamo celebrando: dove nella croce di Cristo si rivela l’eccesso dell’amore di Dio come risposta al male, e dove anche a noi, discepoli di Gesù, è proposto di accogliere la follia della croce, quale Amore che senza calcolo si dona per la vita del mondo.