OMELIA DEL VESCOVO DANIELE NEL MERCOLEDÌ DELLE CENERI

Cattedrale di Crema, 14 febbraio 2018
 
Qualunque donna di casa – e anche qualche uomo – sa che quella contro la polvere è una battaglia continua. Puoi darti da fare quanto vuoi ma (a meno di tenere una casa sotto vuoto, e renderla quindi invivibile) avrai sempre bisogno di spolverare. E quanto più lasci la polvere accumularsi, tanto peggio le cose andranno: e non solo perché avrai da lavorare di più, ma anche perché le cose e i luoghi impolverati, magari dopo mesi o addirittura anni di trascuratezza, prendono un aspetto decrepito, cadaverico.
A me è capitato più volte di prendere in mano vecchi libri, che da decenni accumulavano polvere sugli scaffali, quasi con senso di ribrezzo; ma, una volta affrontato il compito ingrato di rimuovere la polvere, mi sono ritrovato tra le mani dei capolavori di arte tipografica: libri stampati qualche secolo fa, e ancora bellissimi da sfogliare e leggere.
Queste osservazioni mi sono tornate in mente ripensando a una delle frasi con le quali si può accompagnare il gesto dell’imposizione delle Ceneri: «Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai». Qui, addirittura, il testo della liturgia – che viene dalle parole che Dio rivolge ad Adamo dopo il peccato – ci ricorda non solo che la polvere può ricoprire noi o la nostra vita, ma ci avverte che proprio noi siamo polvere, creature fragili che, per quanto possano darsi da fare, non sono in grado di tenere insieme la consistenza della propria vita: e questo, prima di tutto, dovrebbe essere motivo di conversione.
In ogni caso, guardiamo al gesto dell’imposizione delle Ceneri, che stiamo per compiere, anzitutto come a un richiamo a ciò che l’immagine della polvere suggerisce alla nostra vita quotidiana.
Perché, certo, esiste il peccato «mortale», il peccato che «grida vendetta al cospetto di Dio», come si diceva una volta. Forse – me lo auguro – non dobbiamo rimproverarci, di fronte a Dio e alla nostra coscienza, peccati di questo genere. Esiste però anche quel progressivo impolverarsi della nostra vita, quella specie di inquinamento spirituale, che parte forse da poco, da trascuratezze che sembrano insignificanti.
Cosa sarà mai, se trascuro un po’ la preghiera e me ne ricordo solo occasionalmente? Che succede di grave, se sono stanco e non presto sempre attenzione ai problemi dello sposo, della sposa, dei figli (dei propri cristiani, per un vescovo o per un sacerdote…)? Non sarà poi tanto grave, se faccio il mio lavoro, il mio studio, in modo un po’ approssimativo, tirato via e magari racconto qualche storia per giustificarmi… se spargo qualche piccola maldicenza… se non faccio mai la carità verso un poveretto, se trascuro una volta o due una visita a un malato…
Nessuna di queste e altre cose, presa da sola, è particolarmente grave. Così, però, la polvere si accumula: un po’ di sporcizia trascurata oggi si aggiunge a quella che trascuro domani, e così via, finché ci ritroviamo con la casa impresentabile, anzi con la nostra vita impresentabile, come una casa piena di polvere trascurata negli anni, e nella quale è impossibile abitare.
Poi, forse, arriva il giorno in cui decidiamo di far pulizia. Meglio ancora, arriva l’unica possibilità di rimettere veramente a nuovo la nostra vita, ed è l’amore perdonante e creatore di Dio, rivelato in Cristo. L’invito pressante che, come ambasciatore di Dio, Paolo rivolge ai Corinzi – e a noi – perché ci lasciamo riconciliare con Dio, è motivato da ciò che Paolo aveva detto poco prima del passo che abbiamo ascoltato come seconda lettura: «L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (2Cor 5,14-15). Proprio la consapevolezza dell’amore di Dio in Cristo, e del fatto che, di conseguenza, «Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo» (v. 18), porta l’apostolo a dire: «Ecco ora il tempo favorevole, ecco ora il giorno della salvezza».
La Quaresima non ci invita prima di tutto a ripiegarci sul nostro peccato, ma a credere nel perdono di Dio e nella vita nuova che sempre nasce da questo perdono. È tempo «penitenziale», certo: perché rimettere mano alla propria vita, soprattutto se le polvere della mediocrità si è depositata lungo, non è sempre tanto semplice, può essere anche impegnativo, laborioso: e questo, appunto, è il senso della «penitenza» quaresimale.
Possiamo pensare in questa linea anche alle opere tradizionali della Quaresima (come quelle che Gesù ricorda nel vangelo: la preghiera, l’elemosina, il digiuno), e tutti gli altri modi – soprattutto i gesti della carità fraterna – che la tradizione cristiana conosce come via di conversione: sono un modo per rispondere con impegno al dono di Dio, che sempre ci precede e ci invita, che sempre incomincia l’opera di ridare alla nostra vita la sua bellezza divina. Di qui l’altro invito del gesto delle Ceneri: «Convértiti e credi nel Vangelo».
Convértiti e credi: fai credito a Dio, e alla sua capacità di rimettere a nuovo la tua vita. Convértiti, aprendoti alla sua azione di rinnovamento. Preghiera, elemosina, digiuno, ci aiutano a non chiuderci su noi stessi, a non fare del nostro io il centro di tutto, impermeabile a tutto il resto. Gli impegni della penitenza quaresimale spalancano delle finestre, perché la casa della nostra vita ritrovi la freschezza e la bellezza che viene dal Signore.
Con questo spirito, riceviamo dunque la cenere sul capo. Essa ci ricorda che nella nostra vita si deposita la polvere di morte. Soprattutto, però, ci ricorda che ciò che Dio ha fatto e fa per noi, in Cristo, è più forte dei nostri peccati, e può spazzare via tutta la polvere. Lasciamolo agire, lasciamolo entrare nella casa della nostra vita, perché porti in noi la novità di Cristo.