Natale 2019 – Messa del giorno – Omelia del vescovo Daniele

Cattedrale di Crema, 25 dicembre 2019

Ci succede di pensare – almeno qualche volta, credo – soprattutto nelle situazioni, personali o sociali, particolarmente difficili: ah, se Dio intervenisse, se Dio parlasse con chiarezza, se facesse sentire la sua presenza, la sua volontà, la sua potenza… Mi è capitato di sentirmelo dire anche in questi giorni, e con parole di autentica sofferenza e partecipazione per i tanti drammi, conosciuti o sconosciuti, che ci sono nel nostro mondo e nel nostro tempo.
Non credo che questo modo di pensare e di parlare sia sbagliato. Proprio al centro del libro dei Salmi, che costituisce ancora oggi la base della preghiera della Chiesa, si legge: «È forse cessato per sempre [l’amore di Dio], è finita la sua promessa per sempre? Può Dio aver dimenticato la pietà, aver chiuso nell’ira la sua misericordia? E ho detto: “Questo è il mio tormento: è mutata la destra dell’Altissimo”» (Sal 77, 9-11). Il tormento di molti credenti, e forse anche di tanti non credenti, viene proprio da questo sospetto: che Dio abbia «dimenticato la pietà», non dia più libero corso alla sua misericordia.
È un tormento che va rispettato e preso sul serio: e che proprio oggi, però, è chiamato a confrontarsi con ciò che la festa del Natale, specie con le letture di questa «Messa del giorno», che stiamo celebrando, ci ricorda: e cioè che Dio ha parlato, e ha parlato in modo pieno e definitivo. Lui, che «molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (cf. Eb 1, 1-2: seconda lettura).
Tutto quel che Dio aveva da dirci, ce lo ha già detto, nel suo Figlio Gesù: in lui ha manifestato la sua volontà di benevolenza per gli uomini (cf. Gloria nel testo originale), in lui ha detto il suo no al peccato e il suo all’uomo peccatore; in lui ha voltato le spalle a ogni forma di violenza e prevaricazione e ha manifestato la sua volontà di aprire per l’uomo vie di riconciliazione, di misericordia, di pace.
Tutto questo è già detto definitivamente, chiaramente; non solo, ma tutto questo Dio ce lo ha detto umanamente, cioè con parole, gesti, atteggiamenti, comportamenti… insomma con tutta la vita di un uomo, la vita di Gesù: perché – lo abbiamo ascoltato poco fa nel Vangelo – «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14), e proprio lui, il Verbo fatto carne, e dunque Gesù di Nazaret, che i cristiani riconoscono come il Messia e il Figlio di Dio, lui è la parola definitiva di Dio. In lui, Dio ci ha parlato e ancora ci parla con parole umane, si manifesta in comportamenti umani, si lascia incontrare proprio in quella umanità che è la «spiegazione» definitiva di Dio. Perché, dice l’evangelista alla fine del Prologo del suo Vangelo, con un’espressione molto forte: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1, 18). Il Figlio unigenito, che ha fatto sua la nostra condizione umana, Gesù di Nazaret, lui è la ‘spiegazione’ di Dio, colui che ci fa conoscere definitivamente il Padre e il suo progetto di amore e di salvezza.

Mi chiedo se non sia proprio questo, però, a fare problema. Perché noi forse vorremmo da Dio non una parola ‘umana’, ma una parola ‘sovrumana’, una parola «celeste»… Forse perché la parola di Dio fatta carne ci sembra troppo debole, troppo fragile, di fronte a parole che hanno più potenza e capacità di farsi sentire… La parola che si riassume nella fragilità di un bambino indifeso, deposto in una mangiatoia di animali, la parola che risuona (e che anche si fa silenzio) nell’umiliazione di un uomo inchiodato alla croce, e nel suo grido di abbandono, forse ci sembra indegna di Dio…
E forse, anche, c’è un’altra difficoltà. Perché, se Dio ha parlato in quell’uomo e attraverso quell’uomo, se in lui la Parola eterna si è fatta «carne», allora anche la nostra vita di donne e uomini dovrebbe dare voce a quella parola. Detto in altro modo: ciò che in Gesù si è realizzato in un modo unico (perché solo lui è la Parola stessa di Dio nella nostra umanità) dovrebbe però realizzarsi anche in noi. A partire da quando la Parola eterna di Dio si è fatta carne, questa nostra «carne» – cioè, nel linguaggio della Bibbia, la nostra concreta umanità, la nostra condizione di creature anche fragili e deboli – può diventare «strumento» della Parola di Dio: anche la nostra vita, in comunione con il Signore, può diventare «parola di Dio» per gli uomini e per il mondo di oggi.
Così, alla richiesta: «ah, se Dio parlasse, se Dio si facesse vedere più chiaramente…», dovremmo rispondere: la tua stessa vita dovrebbe essere «parola di Dio»; la tua stessa vita, proprio perché vita di un «cristiano», di un discepolo e fratello e amico di Gesù, dovrebbe diventare «segno» di Dio. La nostra umanità sarà anche un segno umile e fragile fin che si vuole: ma Dio non ha paura di questo; non è la debolezza dei mezzi a far problema al Dio che, come ricordava Paolo scrivendo ai Corinzi, ha sempre scelto ciò che «è stolto per il mondo… per confondere i sapienti; ha scelto ciò che è debole per il mondo… per confondere i forti; ha scelto ciò che è ignobile e disprezzato, ciò che è nulla, per ridurre al nulla le cose che sono» (cf. 1Cor 1, 27-28), cioè ciò che si ritiene grande e potente secondo la logica umana, per essere Lui, Dio, fonte di grazia e di salvezza.
E Dio cerca ancora uomini e donne che, accogliendo il Bambino di Betlemme, siano disponibili a diventare nel mondo di oggi segno e strumento della sua volontà di pace e di salvezza; disponibili a tradurre nella loro stessa vita, nei gesti e nelle azioni di ogni giorno, quella «pace», quella pienezza di vita promessa agli uomini che Dio ama, e che gli angeli hanno cantato nella notte di Natale.
Il Prologo del vangelo di Giovanni ci ha ricordato ancora che a quanti hanno accolto nella fede Gesù, la Parola di Dio fatta carne, Dio «ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1, 12). Sì, Dio cerca ancora figli, nel suo Figlio prediletto. Li cerca per offrire loro grazia, benevolenza e pace; li cerca perché ci siano ancora nel mondo testimoni del suo amore per l’uomo e per il mondo: testimoni con la parola, testimoni con la loro vita di «figli», di fratelli e amici di Gesù Cristo, il Figlio di Dio nato dalla Vergine Maria. A noi, se vogliamo, di rispondere, perché questo sia veramente un «buon Natale».