Messa per l’inizio dell’anno pastorale e mandato agli operatori pastorali

Mercoledì 29 settembre 2021 il vescovo Daniele, in Cattedrale, ha presieduto l’Eucaristia per l’inizio del nuovo anno pastorale, conferendo il mandato ai catechisti, ai ministri straordinari della Comunione e agli altri operatori pastorali. Riportiamo l’omelia tenuta dal vescovo.

1. Angeli e uomini, ciascuno a suo modo, ricevono da Dio una missione e, in una sorta di reciprocità, sono tutti chiamati a vivere secondo una dimensione di servizio (cf. la ‘Colletta’ della Messa di oggi); gli angeli, secondo ciò che nel corso del tempo ha cercato di capire la riflessione della fede, vivono questo servizio in un “sì” definitivo, irremovibile, dato una volta per sempre. Per noi, donne e uomini, invece, si tratta di rinnovare sempre da capo l’accoglienza della missione che viene da Dio e l’impegno di servizio al quale egli ci chiama: noi abbiamo sempre bisogno di ricominciare.
Il nostro ritrovarci qui, in Cattedrale, durante i giorni nei quali la nostra Chiesa e le nostre comunità muovono i primi passi del nuovo anno pastorale, significa dunque anche rinnovare la nostra disponibilità al servizio e ricominciare a camminare in essa: in una disponibilità che è espressa in modo particolare, questa sera, dai catechisti e dai ministri straordinari della comunione, ai quali daremo il mandato.
Quanti sono qui, questa sera, hanno un doppio titolo di rappresentanza: da una parte, rappresentano tutti gli altri catechisti e ministri della comunione che, anche per ragioni di spazio, non possono essere presenti qui; ma in voi che siete qui, e anche in quanti stanno seguendo la celebrazione mediante la diretta streaming, vediamo rappresentati anche tutti quelli e quelle che in tanti modi si rendono disponibili a servire le nostre comunità e la missione della Chiesa: penso, ad esempio, a chi opera nei Centri di ascolto Caritas e in altre forme di servizio caritativo; penso a chi serve in tanti modi la vita liturgica delle comunità; penso ai volontari dei nostri Oratori, a chi aiuta nella segreteria parrocchiale e nella gestione e amministrazione dei beni…
L’elenco è certamente incompleto! E non deve però dimenticare quelli e quelle che «non fanno niente…», perché non possono adoperarsi per qualche servizio particolare, e però si impegnano a testimoniare la gioia e la bellezza del Vangelo nella loro vita quotidiana, in famiglia, nel lavoro, nella società: anche loro, certo, portiamo questa sera nella nostra preghiera.

2. La presenza delle catechiste e dei catechisti, e dei ministri straordinari della comunione, e il mandato che viene loro conferito, ci aiutano a mettere a fuoco meglio il senso del servizio a Dio e all’uomo al quale siamo chiamati. L’ho ricordato anche nel messaggio di convocazione per questa Eucaristia: catechisti e ministri della comunione ci rimandano ai due grandi doni con i quali Gesù risorto si accompagna alla vita dei suoi discepoli sulla via che conduceva a Emmaus: la parola e il Pane spezzato (cf. Lc 24,13-35).
Si tratta, ricordiamolo, di discepoli delusi: avevano sperato di trovare in Gesù la soluzione dei loro problemi, l’esaudimento delle loro aspirazioni, la riuscita del loro desiderio di successo… E invece hanno dovuto fare i conti con il suo fallimento, con l’insuccesso e con lo sgretolarsi della stessa comunità dei discepoli. Le sensazioni che probabilmente si agitavano nel cuore di quei discepoli dicono qualcosa anche a noi oggi. Anche su noi, forse, pesa la sensazione dello sgretolamento, se non proprio del fallimento, di una storia lunga e gloriosa; anche noi siamo tentati, forse, di voltare le spalle a ciò che la Pasqua del Signore ci chiama a vivere.
A questi discepoli (e a noi, Chiesa di Crema) il Signore risorto continua a donare la sua presenza, la sua parola, il Pane spezzato che ci rivela il suo Volto. Ci dona anche degli «stili di comportamento» di cui abbiamo e avremo bisogno, anche per partecipare al cammino sinodale della Chiesa tutta e delle Chiese che sono in Italia – una partecipazione, noto, che si innesta in un percorso che la nostra Chiesa aveva già cominciato da tempo, anche prima del mio episcopato.
Dicevo, in ogni caso, di alcuni «stili di comportamento» che Gesù, sulla via di Emmaus, ci dona: il suo farsi compagno di strada in modo discreto; la sua capacità di suscitare domande e di vivere la pazienza dell’ascolto attento; il suo discernimento delle «vie di Dio» già da sempre indicate nelle Scritture; la sua disponibilità a interrompere il cammino per fermarsi con i due discepoli…
Non dimenticherei neppure lo stile di rimprovero, perché Gesù non usa mezze parole nel qualificare questi discepoli come «stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (v. 25). E anche queste parole sono per noi, e le sento dette per me, prima di tutto: perché riconosco anch’io la lentezza e durezza di cuore che mi impedisce di affidarmi a Dio e di camminare lietamente nelle vie anche tortuose, ma certo benefiche, del suo disegno di salvezza.
Sì: non sottraiamoci neppure a queste parole di rimprovero, se vengono dal Signore (che può farcele arrivare per le vie più diverse). Passa anche attraverso questa accettazione la possibilità di sentire quella Parola che fa ardere il nostro cuore, e di riconoscere il suo Volto quando egli spezza per noi il suo Pane.

3. E se poi davvero questa Parola riscalda il cuore e quel Volto rischiara le nostre tenebre, diventerà “naturale” trasmettere ad altri ciò che abbiamo ricevuto e, come i due di Emmaus, far sì che la nostra diventi non più la strada della fuga, ma quella della testimonianza.
Diventerà “naturale” farci, a nostra volta, compagni di strada (questo, lo ricordo, è il senso fondamentale della parole “sinodo”!) di quanti ci sono affidati, ad esempio nei gruppi di catechismo; diventerà naturale aprire il cuore all’ascolto dei nostri ragazzi e delle loro famiglie, e in generale delle donne e uomini del nostro tempo; e cogliere ciò che non sempre le parole sanno dire; ma anche scaldare il loro cuore aiutando anche loro a vivere l’incontro con il Signore risorto; diventerà naturale portare anche ad altri – e specialmente a chi, per malattia o anzianità, non può unirsi fisicamente alla comunità – il Pane spezzato, sacramento dell’amore “fino alla pienezza” (cf. Gv 13,1), che si tratta poi di far entrare in ogni nostra attività, in ogni spazio della vita nostra e dei fratelli.
Se, con l’aiuto di Dio, riusciremo a fare questo, ci ritroveremo un po’ nell’immagine che ci ha offerto Gesù nel vangelo: quella degli angeli che salgono e scendono sul Figlio dell’uomo (cf. Gv 1,51): perché è in lui, certamente, che cielo e terra si toccano; ma spetta anche a noi, al nostro servizio vissuto con gioia e disponibilità, far vivere anche agli altri la grazia e la gioia di questo incontro.
Non solo agli angeli, ma anche a noi, anche a voi, catechisti, ministri della comunione, è possibile salire e scendere continuamente su questa scala, per vivere l’incontro misterioso tra la ricchezza di Dio e la nostra povertà; salire per portare a Dio, prima di tutto con la preghiera, le persone che ci sono affidate; scendere, per portare loro, con un autentico stile di prossimità e servizio, prima ancora che con le parole, la grazia e la misericordia di Dio.
Nei giorni più bui della pandemia, specie lo scorso anno, abbiamo spesso salutato medici e infermieri come gli ‘angeli’ dei malati. Senza nulla togliere a questo riconoscimento, oso sperare – e pregare – perché le persone che accosterete in questo anno incontrino in voi degli angeli di Dio, messaggeri di amore, che sanno donarsi in pienezza e anche scomparire, se ce ne fosse bisogno, perché il servizio non diventi mai dominio e la nostra sola gioia sia quella di essere stati strumento dell’incontro con Gesù Cristo, Signore e salvatore degli angeli, degli uomini e di ogni creatura.