Messa per la fine dell’anno 2020 – Omelia del Vescovo

Nella Cattedrale di Crema, giovedì 31 dicembre 2020, il vescovo Daniele ha presieduto la Messa di ringraziamento e il canto del Te Deum per la fine dell’anno civile 2020. Riportiamo la sua omelia.

 

Sono andato a rileggermi alcune riflessioni che avevo proposto qui, in Cattedrale, il primo gennaio di quest’anno. Avevo fatto, press’a poco, tra le altre cose, questa osservazione: quando si arriva al passaggio di un anno, si cerca di fare un po’ di retrospettiva, di ripensare a che cosa c’è stato di significativo nei mesi trascorsi; e poi, magari, si cerca di fare qualche progetto, di pensare a che cosa potrà essere l’anno nuovo che ci sta davanti…
E mi ero permesso di esprimere questo dubbio: che tutto, o quasi, scivoli via molto rapidamente, come acqua che non possiamo afferrare, ci bagna per un po’, ma subito scappa via. Mi veniva il dubbio che questo esercizio di memoria del passato e di sguardo verso ciò che deve arrivare lo facessimo con una memoria corta, e che corta fosse anche la nostra immaginazione del futuro: corta la memoria, corta la speranza; forse perché, dicevo, troppe cose incalzano, troppi eventi si susseguono, e non ci è dato il tempo, non tanto il tempo cronologico, ma il tempo interiore, per dare un senso a tutto questo.
L’anno che stiamo per concludere, non c’è bisogno di sottolinearlo, ha completamente scombussolato tutto questo. Quali che fossero i nostri progetti e desideri, qualche che fosse il modo in cui ci eravamo immaginati di vivere questo 2020, tutto, o quasi, è andato gambe all’aria. Tutti siamo stati costretti a cambiare programmi, a ridefinire le nostre priorità, a misurarci con qualcosa di cui non avevamo tenuto conto in nessun modo. La pandemia ci ha costretti a vivere un’esperienza che nessuno, credo, sarebbe stato in grado di delineare, dodici mesi fa.
Questo vuol dire allora che ce lo ricorderemo, eccome, questo anno, che sarà impossibile dimenticarlo? Che la nostra memoria sarà meno superficiale, meno frettolosa? Onestamente, non lo so. Avverto in molti il desiderio di lasciarselo alle spalle il più presto possibile, questo 2020 così carico di tribolazioni e problemi; di «voltare pagina», come si sente dire spesso in questi giorni; di guardare a un domani che non possiamo non sperare migliore di ciò che abbiamo vissuto.

Anche se posso capire questo desiderio, credo che non sarebbe un bene. Prima di tutto, perché la fretta di dimenticare fatiche, tribolazioni, malattie, lutti, sofferenze e ansie rischia di farci dimenticare anche le non poche ragioni che pure abbiamo per ringraziare.
Per la nostra vita di Chiesa, questo del 31 dicembre è tradizionalmente un giorno in cui rendere grazie a Dio per i benefici ricevuti nell’anno che si chiude. E questo rimane vero anche quest’anno. Più che mai, anzi, rimane vero. Perché, come ci ricorda un salmo, con parole un po’ dure, «nella prosperità l’uomo non comprende, è simile alle bestie che muoiono» (Sal 49,21). È nella prova, nella tribolazione, invece, che, il più delle volte, ci è data la grazia di «comprendere»: di comprendere che cosa significa la presenza di Dio nella nostra vita; di riconoscere e comprendere le tante esperienze di bene che attraversano la nostra storia; di comprendere anche ciò che conta veramente, quali sono i punti saldi, sicuri, a cui attaccarci per proseguire il percorso della nostra vita.
Più che mai, alla fine di questo anno, ci è necessaria una buona memoria; e anche una memoria riconoscente, una memoria capace di dire «grazie», a Dio e ai fratelli. «In ogni cosa rendete grazie», scrive l’apostolo Paolo nella sua prima lettera, scritta alla comunità di Tessalonica (cf. 1Ts 5,18). Notate: in ogni cosa, non ‘per’ ogni cosa.
Paolo sa bene che nella nostra vita accadono anche cose cattive, che facciamo l’esperienza della tribolazione, del male, delle calamità, delle malattie e di molte altre cose negative. Sarebbe stolto pensare che la pandemia sia un bene; e non avrebbero senso anche le molte preghiere che abbiamo fatto a Dio, nei mesi scorsi, anche in questa Cattedrale, per esserne liberati, e per la vita e la salute di chi si è ammalato.
E tuttavia, «in ogni cosa» il credente è chiamato a cercare le ragioni per rendere grazie a Dio. Non rendiamo grazie a Dio per il male, ci mancherebbe! Ma anche nel male Lo cerchiamo, anche nelle situazioni faticose e tribolate ci impegniamo a scorgere i segni della Sua presenza, e a trovarli specialmente nelle tante forme di bene di cui siamo stati testimoni e, perché no, anche protagonisti.
Penso che neppure Maria e Giuseppe abbiano trovato liete e gioiose tutte le circostanze che hanno accompagnato la nascita del loro Figlio: i Vangeli attestano anche le loro angosce e paure. Eppure, essi sono consapevoli che in ciò che accade Dio non è lontano, al contrario. Hanno bisogno anche di tempo, per interiorizzare tutto, per scorgere la luce: per questo, l’evangelista nota che «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19; cf. 2,51).
Questa mi sembra la buona memoria di cui abbiamo bisogno, alla fine di questo anno tribolato: non il desiderio di dimenticare tutto al più presto, ma la capacità di custodire nel cuore, lasciandoci illuminare dalla luce di Dio, ciò che abbiamo vissuto.

Solo così, credo, possiamo andare in modo giusto verso il futuro. Anche perché non abbiamo molte certezze concrete di come sarà questo futuro. Le incognite, gli interrogativi, sono ancora molti. Lo sappiamo bene: non è perché il calendario arriva alla fine di un anno e ce ne fa aprire un altro, che le cose cambieranno subito, dall’oggi al domani. Almeno in parte, però, i cambiamenti dipenderanno anche da noi: dal modo in cui avremo saputo custodire e meditare l’esperienza vissuta, per aprirci a comportamenti, stili di vita, azioni concrete che rendano visibile in questo mondo la benedizione di Dio, di cui ci ha parlato la prima lettura: e questo, quali che siano le circostanze concrete con le quali avremo a che fare, buone o cattive.
Sì, non sappiamo come sarà il 2021. Abbiamo motivi fondati per sperare in un anno migliore di quello che abbiamo vissuto, anche se non dobbiamo nasconderci i tanti motivi di preoccupazione che ancora rimangono. Ma potrà essere un anno di benedizione: lo potrà essere, perché questo dipende dall’amore fedele di Dio, sul quale possiamo contare; lo potrà essere, se ciascuno di noi credenti si assumerà il compito di essere strumento di questa benedizione.
Ci conceda Dio, nel nuovo anno, di mettere in pratica ciò che l’apostolo Pietro chiedeva ai suoi cristiani: «Siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno, misericordiosi, umili; non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma, al contrario, rispondete benedicendo: poiché a questo siete stati chiamati, per avere in eredità la benedizione» (1Pt 3,8-9).