Messa per gli insegnanti di religione all’inizio dell’anno scolastico

Venerdì 17 settembre, in Cattedrale, il vescovo Daniele ha presieduto la santa Messa alla quale erano particolarmente invitati gli insegnanti di religione cattolica, insieme con gli altri insegnanti, per affidare a Dio l’inizio del nuovo anno scolastico. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.

Nel condividere alcune riflessioni che guardano all’anno scolastico da poco incominciato, mi permetto oggi di fare un’operazione che ha qualche rischio, ma che non mi sembra insensata. Voglio provare a rileggere per voi, insegnanti di scuola, ciò che Paolo scrive a Timoteo, nella pagina che abbiano ascoltato come prima lettura (cf. 1Tm 6,2-11).
Paolo si rivolge a uno dei suoi principali collaboratori, Timoteo, che la tradizione – sulla base della lettera stessa – riconosce come «vescovo» di Efeso, cioè come capo di quella comunità, quale che fosse il senso preciso della parola «vescovo» all’epoca.
A Timoteo, Paolo raccomanda di adoperarsi per un giusto «insegnamento»: il responsabile della comunità cristiana, come prima di lui l’apostolo stesso, vive il proprio ministero anche come quello di un «maestro» – didaskalos, in greco – che deve insegnare le cose giuste, le cose che risalgono a Gesù Cristo e al suo vangelo, in una comunità che comincia a sentire il fascino di dottrine diverse, a conoscere il rischio delle divisioni, dell’andare dietro alle mode e così via.
Non intendo addentrarmi in questi problemi: ma solo sottolineare che alcune delle caratteristiche del «giusto insegnamento», al quale Paolo esorta Timoteo, mi sembrano molto adatte anche al vostro compito di insegnanti nella scuola.

1. Vorrei rilevare anzitutto alcuni tratti di un «insegnamento negativo», che abbiamo sentito richiamare nella parte centrale del testo.
Paolo critica prima di tutto l’insegnamento orgoglioso, «tronfio», potremmo dire, di chi «non capisce nulla» e si lascia sedurre da «questioni oziose e discussioni inutili».
Anche se Paolo non pensa agli insegnanti di scuola, credo che anche noi, che anche ciascuno di voi, potrebbe chiedersi – come certamente ha fatto e fa: che tipo di insegnante voglio essere? Sono l’insegnante che cerca di trasmettere agli studenti ciò che merita davvero di essere imparato? O rischio di perdermi dietro a questioni inutili, oziose, che non vanno al sodo e uccidono la «gioia di imparare»?
In un suo intervento per l’inizio dell’anno scolastico, l’Arcivescovo di Milano, rivolgendosi agli insegnanti, ha scritto: «Non tutto [ciò che viene insegnato] è utile per un fine immediato. Però, tutto quello che è vero, buono, sapiente merita di essere imparato per riconoscere la storia di persone e popoli e aspetti del sapere, per acquisire abilità e attitudini che porteranno frutto in ogni ambito della vita, per praticare capacità di pensare, di ricordare, di confrontarsi» (M. Delpini, La scuola. Un messaggio, una promessa, Centro Ambrosiano, Milano 2021, 7).
Sì, c’è un insegnamento «utile» (che non vuol dire meramente utilitaristico), che – credo – dovrebbe essere ciò a cui tutti puntiamo, per il bene dei ragazzi che ci sono affidati e della nostra società.

2. Paolo mette ancora in guardia Timoteo e la sua comunità da insegnamenti che finiscono per essere causa di conflitti e rivalità, di «invidie, litigi, maldicenze, sospetti cattivi…» (cf. v. 4).
Mi piace pensare che proprio nella scuola i bambini, i ragazzi, i giovani imparano un modo di vivere, di confrontarsi, anche di dissentire, quando è il caso, dall’uno o dall’altro dei punti di vista, ma secondo uno stile diverso, rispetto a quello che spesso, invece, si respira nella mentalità corrente.
Per citare un esempio fin troppo facile da richiamare, quanto avremmo bisogno di saperci confrontare pacatamente, e con pazienza, intorno a ciò che abbiamo vissuto e ancora in parte stiamo vivendo a seguito della pandemia da Covid-19, e che ha toccato in modo così forte, come sapete meglio di me, tutto il mondo della scuola!
Mi piacerebbe pensare che, nella scuola, questioni gravi e fondamentali come, ad esempio, il valore e anche i limiti della scienza; il senso della libertà e la responsabilità per il bene comune; le implicazioni del nostro modo di abitare e manipolare il mondo per la salute nostra e degli altri esseri viventi; e anche (qui penso in particolare agli insegnanti di religione, ma non solo) le «questioni di senso», riguardo al vivere e al con-vivere, riguardo alla salute, alla malattia e alla morte… Ecco, mi piace pensare all’ambiente della scuola come a un luogo dove, su questi e altri temi, si impara a conoscere in modo corretto come stanno le cose, per quel che riusciamo a capirle adesso; si impara a confrontarsi senza fare, di chi la pensa diversamente, il nemico da abbattere…
Mi piace pensare, in una parola, che la scuola sia un luogo nel quale imparare, confrontarsi, pensarla in modi diversi, siano – grazie prima di tutto all’impegno, allo ‘stile’ di voi insegnanti – autentiche avventure dello spirito, e non pretesti per quella permanente rissosità, che sembra un tratto del nostro mondo di oggi.

3. Paolo mette in guardia i maestri della comunità cristiana dal rischio di fare, del loro ministero, una «fonte di guadagno» (cf. v. 5). Naturalmente, l’insegnante di una scuola ha più che diritto di considerare il suo lavoro una «fonte di guadagno»: ci mancherebbe!
Non voglio entrare nel merito di questioni di tipo sindacale, che non sono di mia competenza: ma credo che non sia fuori luogo, qui, richiamare almeno il fatto che il nostro Paese è purtroppo noto per destinare all’istruzione una parte ancora troppo esigua delle sue risorse.
Tornando a Paolo, credo tuttavia che le sue parole siano anche un invito a riflettere sull’insieme delle motivazioni che spingono un uomo o una donna ad affrontare questo difficile, ma appassionante «mestiere di insegnare».
Possono essere di aiuto, al riguardo, alcune parole che prendo ancora a prestito dall’Arcivescovo di Milano, che scrive: «Gli insegnanti non solo promettono di insegnare, ma promettono anche di essere uomini e donne che testimoniano che vale la pena di diventare adulti, di assumere responsabilità, di offrire la propria professionalità a servizio degli studenti, della scuola e della società.
La promessa degli insegnanti semina speranza: ci sono cammini che meritano di essere percorsi» (M. Delpini, La scuola. Un messaggio, una promessa, 8).
Mi sembra difficile essere un buon insegnante se l’unica molla, o forse anche la molla principale, del proprio insegnamento è la pur legittima, doverosa preoccupazione di «guadagnarsi da vivere».

4. Per concludere queste mie riflessioni – che, sulla base delle parole di Paolo a Timoteo, hanno cercato di richiamare alcune possibili «ombre» della vocazione di insegnante – vorrei sottolineare l’accostamento di due verbi, con i quali Paolo conclude, all’inizio della lettura, le raccomandazioni circa il rapporto tra padroni e schiavi (gli uni e gli altri presenti nella società e nelle comunità cristiani di allora): «Questo – scrive – devi insegnare e raccomandare» (v. 2).
Il verbo tradotto qui con «raccomandare» è uno dei verbi più ricchi e affascinanti del NT, e per questo anche più difficili da tradurre: significa appunto raccomandare, esortare, incoraggiare, sostenere, consolare, correggere, difendere…
Vorrei leggerlo come il verbo che dà il suo senso più pieno al verbo che lo precede, «insegnare»; come, insomma, se Paolo dicesse: insegna, ma in modo che il tuo insegnamento dia forza, infonda gioia, coraggio, gusto di conoscere e crescere; e sia anche motivo di conforto, trasmetta il desiderio di vivere una vita buona e piena…
Da questo verbo (parakaleo in greco), deriva anche l’aggettivo parakletos, da cui il Paraclito, uno dei nomi dello Spirito Santo nel linguaggio della fede. E sapete che i tradizionali «doni dello Spirito Santo» – sapienza, intelletto, consiglio, scienza… – sono strettamente legati alla sfera della conoscenza e dell’educazione.
Vorrei, concludere, allora, con l’augurio che il vostro insegnamento sia sostenuto da questo «Maestro interiore», che è lo Spirito Santo; e che almeno qualcosa della sua sapienza e del suo soffio di vita, capace di rinnovare e trasformare l’uomo e il mondo, passi grazie a voi e al vostro insegnamento, nei ragazzi e nei giovani che incontrerete in questo anno scolastico, che affidiamo a Dio perché lo benedica e lo renda fecondo di buoni frutti.