Messa di suffragio per i vescovi defunti – Omelia del vescovo

In Cattedrale, il vescovo Daniele ha presieduto, venerdì 3 novembre 2020, la Messa a suffragio dei vescovi defunti della diocesi. Riportiamo di seguito la sua omelia.

 

C’è una parola che unifica le due letture proposte dalla liturgia di questa sera, ed è la parola servo. Il vangelo, raccontando la parabola degli invitati che respingono l’invito alla «grande cena», mette in rilievo l’iniziativa di questo «uomo» che, appunto, organizza la cena con molti invitati, li manda a chiamare, si adira per il loro rifiuto, fa invitare altri prendendoli dalle vie e dalle piazze della città, dalle strade e lungo le siepi della campagna, finché la sala del banchetto si riempia…
Ma poi chi fa materialmente tutto è il suo servo: è lui che va a chiamare i primi invitati, ne riceve il rifiuto e lo riferisce al suo padrone; è lui, ancora, a uscire una volta e di nuovo un’altra volta per invitare altri al loro posto e, in particolare, per condurre nella sala della cena «i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi» (cf. Lc 14,21).
Se si guarda all’insieme del vangelo, è difficile sottrarsi all’impressione che, in quel servo, si debba vedere la controfigura di Gesù stesso. L’evangelista Luca, in particolare, ci tiene a sottolineare che Gesù orienta la sua missione in modo particolare verso i «poveri», ai quali è mandato a portare la buona notizia, il vangelo della salvezza e della liberazione. Nella sinagoga di Nazaret, in una scena che leggiamo solo nel vangelo di Luca, Gesù aveva letto le parole di Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (4,18-19).
E spesso Gesù compie questa sua missione stando a mensa con quanti non erano ammessi, normalmente, alla stessa tavola: con i pubblicani, le prostitute, con gli scartati e gli esclusi. Come era capitato con i suoi compaesani, che lo volevano buttare giù dal precipizio (cf. 4,28-29), Gesù aveva sperimentato il rifiuto opposto dai «primi invitati» all’invito di Dio; e come servo obbediente aveva esteso questo invito a quelli che prima erano esclusi.
Gesù è il vero «servo del Signore», che porta all’umanità l’invito a prendere parte alla «grande cena» alla quale Dio, il Padre, la convoca; non risparmia niente, nella sua disponibilità a dar voce all’invito di Dio, a percorrere le vie, fisiche e ‘relazionali’, per trasmettere questo invito.
Ma la prima lettura, che ci trasmette un frammento prezioso della vita e della fede delle prime comunità cristiane, va ancora più in là. Anche Paolo, scrivendo ai Filippesi e citando – probabilmente – un inno a Cristo già presente prima di nelle comunità cristiane, parla di Gesù come «servo»: e usa questa parola per riassumere tutto il movimento che porta il Figlio di Dio a entrare nella nostra condizione umana, accettando di viverla fino all’estremo, «fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,8).
Potremmo dire così: le parole di Paolo ai Filippesi ci parlano di Gesù come di quel servo che, per invitare gli uomini alla «grande cena» della salvezza, non ha avuto paura di andarli a cercare fino all’estremo della loro lontananza da Dio. È uscito da Dio, ha camminato sulle vie e sulle strade degli uomini, ci ha raggiunti fino all’ultimo limite in cui poteva chiamarci, fino a quella condizione di morte, nel quale l’invito di Dio sembrava non potesse più raggiungerci.
Gesù, il servo obbediente, è arrivato fin lì: e da lì ci ha preso per mano, diventando il nostro Signore non in virtù del dominio o del potere, ma in virtù di questa spoliazione e abnegazione estreme, che sono l’espressione più forte della misericordia fedele del Padre.
Non ci stupisce che il servizio, che ha segnato tutta l’esistenza di Gesù – lui stesso dice ai suoi discepoli, riassumendo il senso di tutta la sua vita: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27) – debba diventare anche il contrassegno di chi lo vuol seguire, e in particolare di coloro che egli manda come guide del suo popolo. Agli apostoli, in lite su chi si dovesse considerare «il più grande», Gesù dice: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve» (ivi, vv. 25-26).

Questa sera rendiamo grazie a Dio per il servizio pastorale dei Vescovi che hanno guidato la nostra Chiesa, e che non sono più in questo mondo: Dio li ricompensi per questo servizio generoso, e renda anche loro partecipi del banchetto festoso dei cieli. E pregate anche per me, loro successore, perché anch’io possa conformare sempre più la mia vita a Colui che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per noi (cf. Mc 10,45).