Maria SS.ma Madre di Dio – 54ª Giornata per la pace – Omelia del vescovo

Il Vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale, nel pomeriggio del 1° gennaio 2021, alla presenza delle autorità civili e militari la Messa nella solennità di Maria SS.ma Madre di Dio, e nella 54ª Giornata per la pace. Al termine della Messa il Vescovo ha consegnato alle autorità presenti una copia dell’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.

Due immagini si sovrappongono, nella celebrazione che ci vede riuniti oggi, nel primo giorno dell’anno civile ma anzitutto – almeno secondo la logica della liturgia della Chiesa – a otto giorni dal Natale. La prima è un’immagine teologica, riassunta in un’antica parola greca, la Theotókos, letteralmente la «genitrice di Dio» o, nel nostro linguaggio più abituale, la «Madre di Dio».
Oggi, appunto, a otto giorni dal Natale, celebriamo la maternità divina di Maria, della ragazza di Nazaret che la fede cristiana è arrivata a onorare con questo titolo grandissimo di «Madre di Dio». Titolo grandissimo, e che potrebbe essere anche frainteso – non a caso, fu oggetto di discussioni piuttosto accese, soprattutto gli inizi del V secolo, finché un concilio, tenuto a Efeso nel 431 (il terzo concilio ecumenico), lo sancì solennemente come espressione corretta, e anzi «normativa», della fede della Chiesa.
La preoccupazione credente, a proposito di questo titolo, non riguarda principalmente Maria, ma il figlio che grazie a lei, per dono di Dio, entra in questo mondo. Chi è, precisamente, questo figlio? I cristiani arrivano a dire: in quell’uomo, noi incontriamo davvero Dio stesso, che volle entrare nella nostra storia, volle fare propria la nostra condizione umana e venirci incontro in questa nostra carne. Ma se quell’uomo è davvero il Figlio di Dio, allora possiamo arrischiarci a chiamare Maria «Madre di Dio», come del resto il linguaggio della fede faceva da tempo, anche prima del concilio di Efeso. Usando questo titolo, i cristiani vogliono riconfermare la loro fede in Gesù di Nazaret, e riconoscerlo come il «Dio-con-noi», inseparabilmente unito alla nostra storia e alla nostra «carne».

A questa immagine però, dicevo, se ne sovrappone un’altra, in realtà inseparabile: ed è l’immagine del presepio, richiamata anche dal vangelo appena ascoltato; è l’immagine della madre che si prende cura di quel bambino, che compie per lui i gesti di attenzione, di custodia, di tenerezza, che ci aspettiamo da ogni mamma nei confronti del proprio figlio o figlia.
Perché il paradosso è questo: sì, Maria è la «Madre di Dio», attraverso di lei il Figlio di Dio entra a far parte della nostra umanità per farla partecipare alla vita piena di Dio; ma quel Figlio entra nel mondo come un bambino qualsiasi, che ha fame e sente freddo, che ride e piange, che ha bisogno insomma di qualcuno che si occupi di lui, che lo custodisca e lo protegga e se ne occupi e lo aiuti a crescere.
L’«altro lato» della maternità divina di Maria che oggi celebriamo, è appunto quello che la rende simile ad ogni mamma, attenta e preoccupata per il bene del suo figlio. È Maria, è ogni mamma (e anche, speriamo, ogni papà!) come figura, come simbolo primordiale della cura: di quell’insieme di atteggiamenti, premure, scelte e comportamenti, che riassumiamo appunto nell’espressione «prendersi cura», e che è al centro del Messaggio di papa Francesco per la 54ª Giornata della Pace, che celebriamo proprio oggi.
A questa immagine primordiale della cura, quella dei genitori nei confronti dei propri figli, come fanno Maria e Giuseppe per Gesù, in questo inizio d’anno ne possiamo, anzi ne dobbiamo senz’altro accostare un’altra: ed è quella della cura per gli ammalati, gli infermi.
Inutile ricordare da che periodo veniamo, e in quale situazione ancora ci troviamo. Lo sappiamo benissimo, anche se la nostra memoria un po’ troppo corta rischia di farci dimenticare l’impegno profuso da infermieri, medici, personale sanitario, per la cura dei nostri malati, negli ospedali, nelle case di riposo, nelle nostre case… E se qualche volta, invece, ci capita di lamentarci perché abbiamo l’impressione che questa o quella persona, questa o quella situazione, siano «tras-curati» – ossia che non ci si prenda adeguatamente cura di loro – è appunto perché avvertiamo che ci sono situazioni nelle quali «prendersi cura», nel modo migliore possibile, è assolutamente, rigorosamente necessario.
Mi sembra che il Papa, nel suo Messaggio, voglia dirci qualcosa di questo genere: ecco, tu avverti che ci sono condizioni, situazioni, persone, che hanno bisogno di qualcuno che se ne prenda cura. Bene, allarga il tuo sguardo: osserva il mondo nel quale vivi, guarda alle sue necessità, specialmente in quest’ora, e ti accorgerai che le situazioni, le condizioni e le persone che fanno appello a questo «prendersi cura» sono tantissime; attraversano, si può dire, l’intero spettro della vita tua e degli altri. Guarda a tutto questo e renditi conto che c’è un appello anche per te: che anche tu puoi diventare una persona che si prende cura, come ti aspetti che un genitore faccia per i figli, o che un medico o un infermiera facciano per gli ammalati. Ci sono da curare i diritti e la dignità di ogni persona; c’è da prendersi cura del bene comune; c’è la cura e la salvaguardia dell’ambiente…
C’è da rimboccarsi le maniche e darsi da fare; e c’è da costruire una «cultura della cura», dice il Papa, precisamente perché essa è la sola via che ci permette di uscire dai conflitti:

«La cultura della cura, quale impegno comune, solidale e partecipativo per proteggere e promuovere la dignità e il bene di tutti, quale disposizione ad interessarsi, a prestare attenzione, alla compassione, alla riconciliazione e alla guarigione, al rispetto mutuo e all’accoglienza reciproca, costituisce una via privilegiata per la costruzione della pace. “In molte parti del mondo occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia”» (Francesco, Messaggio per la 54ª Giornata della pace, n. 9).

Veniamo da un anno estremamente difficile e doloroso; e non possiamo ragionevolmente pensare che i problemi spariscano magicamente perché ieri è finito il 2020, e oggi è incominciato il 2021. Che cosa sarà questo nuovo anno dipende certamente anche da fattori imprevedibili e sui quali potremmo non avere un pieno controllo: ce ne siamo resi conto fin troppo bene, nell’anno appena passato.
Ma che cosa sarà il nuovo anno dipenderà anche da noi e dal modo in cui sapremo prenderci cura gli uni degli altri, del nostro vivere comune, della nostra società e, in modo particolare, di quanti sono più esposti alla fragilità e ai rischi.
Perché il nuovo anno sia migliore del precedente, invochiamo la benedizione di Dio, come stiamo facendo in tutta questa celebrazione; e, guardando alla Madre del Signore, a colei che si è presa cura del Figlio di Dio fatto bambino, chiediamo di fare nostra una «cultura della cura» che renda ciascuno di noi, secondo le sue responsabilità e i suoi compiti, operatore di pace nella giustizia, artefice di un mondo sempre più degno di Dio e dell’uomo.