IL VESCOVO DANIELE DI RITORNO DALL’URUGUAY

condividi su:

Il vescovo Daniele e l’équipe cremasca che l’ha accompagnato (il vicario don Maurizio Vailati, don Francesco Ruini e il presidente della Commissione per la Pastorale missionaria  Enrico Fantoni con la moglie) sono tornati martedì dall’Uruguay. Catapultati dal caldo torrido (in Sudamerica è estate), al freddo della nostra nebbiosa pianura. Sorridenti comunque e soddisfatti. Portano a tutti i saluti di don Federico Bragonzi, del vescovo Arturo della diocesi di Sant José de Mayo e della comunità cristiana di quel Paese lontano.
Raccontiamo la seconda parte del viaggio pastorale a pagina 14. Qui riportiamo le impressioni e le ipotesi di progetto del vescovo Daniele che abbiamo ascoltato per i nostri lettori.
Eccellenza, contento del viaggio? Calorosa l’accoglienza del vescovo Arturo e della gente?
“Senz’altro un viaggio positivo sotto tutti i punti di vista. Un’accoglienza molto fraterna e calorosa da parte del vescovo Arturo, dei preti della diocesi e delle comunità incontrate. Avevano preparato tutto, tutto era stato programmato anche se in itinere è stata necessaria qualche modifica. Notevole attenzione anche da parte dei mezzi di comunicazione laici, interessati alla vita della Chiesa: il che ha anche un po’ smontato l’idea che il laicismo sia l’unica realtà in Uruguay. Forse bisogna distinguere tra ciò che succede nella capitale e ciò che capita nel resto del Paese. Nella diocesi del vescovo Arturo c’è un interesse e un’attenzione per le cose della Chiesa che i media presentano anche in modo obiettivo.”
Qual è la situazione della Chiesa-comunità cattolica in Uruguay? Ne avete parlato con i sacerdoti della diocesi. 
“La situazione non è proprio come la immaginavo: ho trovato una realtà un po’ diversa. Se la misuriamo dal punto di vista della partecipazione abituale alla Messa domenicale, siamo a livelli bassissimi: al Delta, dove lavora adesso don Federico, nelle due Messe domenicali non abbiamo incontrato più di 30 persone. Vi è però una realtà nella quale la Chiesa può lavorare e lavora, certo con povertà di mezzi e di personale. Pochi sono i sacerdoti: considerando l’estensione della diocesi di San José de Mayo e dell’altra dove sono presenti i preti di Lodi, la situazione è di grande difficoltà. Nella diocesi di Mercedes, ad esempio, proprio quando siamo arrivati noi, un sacerdote di 60 anni ha avuto un ictus ed è ora gravissimo.
La mancanza di mezzi si tocca con mano. Nonostante ciò abbiamo visto una Chiesa che complessivamente lavora, che cerca di darsi da fare, ci sono anche dei laici che si impegnano. Non è certo una Chiesa ferma e priva di iniziativa.”
Abbiamo letto che si porta avanti una evangelizzazione porta a porta?
“Questo fa parte del progetto delle Missioni Popolari in atto nella diocesi di San José e di cui don Federico è responsabile. L’idea è quella di rendere missionari gli stessi laici della comunità, invitandoli ad andare nelle varie famiglie, a intessere legami, per annunciare il Vangelo. Non tutte le parrocchie hanno accettato di fare questo percorso, però è sicuramente significativo.
Un’altra delle scelte che la diocesi sta facendo – secondo un progetto nazionale – è quella di concentrare la propria attenzione sull’iniziazione cristiana: non si nasce cristiani, ma bisogna diventarlo anche attraverso una scelta personale e un’integrazione in comunità. Ho trovato anche una notevole progettualità pastorale sia a livello nazionale che diocesano.”
Mi ha colpito vedere la foto di mons. Caceres, 96 anni, l’ultimo vescovo che ha partecipato a tutte le sessioni del Concilio Vaticano II…
“Quell’incontro è stato un bel momento. Mons. Caceres è diventato vescovo nel ‘62 e ha vissuto i quattro periodi conciliari. È uno dei tre o quattro vescovi conciliari ancora viventi in tutto il mondo: ricordava con una certa fierezza di non aver mai saltato nessuna sessione del Concilio. Ha ancora una buona memoria e ci hanno raccontato che nell’ambito della conferenza episcopale uruguayana era colui che sdrammatizzava i problemi, invitava a vedere gli aspetti positivi delle realtà e aveva sempre un approccio ai problemi molto fiducioso.”
Dall’incontro con i giovani che situazione ha rilevato?
“Il lavoro che i giovani stanno facendo è centrato sul tema del senso della vita. Riflesso di un problema complesso in un Uruguay che ha il maggior tasso di suicidi dell’intera America Latina. Nonostante sia un Paese che dal punto di vista economico e dello welfare non è messo male, si registra una maggior fatica di vivere e la pastorale giovanile segue questa pista, nel tentativo di far riflettere i giovani sul senso della vita.” 
Quali sono dunque le possibilità della Chiesa cremasca di inserirsi nella pastorale della Chiesa uruguayana? Avete perfezionato qualche progetto?
“Personalmente mi sono confermato nell’idea che valga la pena portare avanti una collaborazione della nostra Chiesa con quella di San José de Mayo: il contesto di Chiesa, il tipo di necessità e anche le situazioni positive mi hanno convinto. In generale, aprirsi ad un orizzonte un po’ diverso fa bene alla nostra diocesi. Sicuramente dal punto di vista del clero la necessità della diocesi di San José è obiettiva. Si comprende anche perché il vescovo Arturo chieda aiuto per quella zona e quella parrocchia non ancora costituita nel Delta del Tigre dove sta lavorando don Federico. Vi è una situazione sociale e religiosa difficile più che in tutte le altre parrocchie. Si tratta di una zona popolata in un modo improvvisato, con una condizione  sociale complicata, dove per i preti uruguayani è difficile vivere, anche perché i sacerdoti di quel Paese vivono di quanto dà loro la gente.
Ora cercherò di parlarne con i preti cremaschi per rilanciare questo progetto.
Abbiamo anche riflettuto sulla possibilità e l’opportunità della presenza di qualche laico. Credo che sarebbe un’esperienza significativa per dei laici che non hanno la pretesa di fare chissà che cosa là in Uruguay, ma che semplicemente si inseriscono in quelle comunità cristiane, condividono la loro vita, collaborando con loro. Dovremo studiare questa possibilità. La gente del resto è molto accogliente, cordiale, ha la gioia dell’incontro e del condividere. I nostri laici entrerebbero certamente in un contesto positivo.”
È possibile un reale feedback tra le due diocesi e un reciproco arricchimento? Ho letto che si prospetta una collaborazione tra i giovani, iniziando in occasione della prossima GMG di Panama. 
“Le possibilità ci sono. Bisognerà vedere come articolarle. Ne vale la pena! L’Uruguay è in una situazione che anticipa problemi che potremmo avere qui da noi in futuro: una società laicista dove la Chiesa vive una situazione di minoranza accentuata ed essere cristiani non è scontato. 
Per quanto riguarda la GMG sarà difficile che molti nostri giovani vi partecipino in gennaio. Sarà anche un viaggio molto costoso. Anche per i ragazzi uruguayani non sarà facile. Della diocesi di San José potranno forse partecipare qualche decina di giovani.
Una cosa che si potrebbe pensare, in collaborazione con Lodi, è invece che i giovani facciano alcune esperienze in Uruguay durante l’estate. Alcuni della diocesi di Lodi ci sono già stati. La relativa facilità della lingua è un grosso vantaggio.”
Progetti per i sacerdoti?
“Don Federico potrebbe essere affiancato da un nostro sacerdote per due tre anni, poi tornerebbe in Italia e un altro lo potrebbe sostituire e andare avanti per altri 4/5 anni.
Nella nuova parrocchia del Delta non ci sono mai stati preti residenti, ma sacerdoti che venivano saltuariamente da altrove. Adesso finalmente stanno preparando la casa parrocchiale, molto semplice in mezzo alle altre case, e la presenza di un prete o due certamente potrebbe essere determinante per costruire piano piano quella realtà di comunità che è ancora molto fragile. 
 
La gente lo aspetta e vuole bene ai preti che hanno dato la disponibilità di qualche presenza. Ho visto quanto vogliono bene a don Francesco, al quale hanno fatto grande festa. Insomma hanno voglia di costruire qualche cosa e noi potremmo davvero aiutarli.”