Festa di S. Maria della Croce: omelia del vescovo Daniele

Venerdì 3 aprile 2020, nella ricorrenza annuale della festa, nella Basilica di S. Maria della Croce, a porte chiuse, il vescovo ha presieduto la preghiera del Rosario e la Messa.

Omelia

Già da un po’ mi è accaduto di accostare la frase che abbiamo vista tante volte riprodotta e ripetuta in queste settimane di emergenza sanitaria – «Andrà tutto bene» – alle parole di Paolo che abbiamo ascoltato nella prima lettura: «Tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (Rm 8, 28).
Forse, dopo più di un mese da che è scoppiata l’emergenza sanitaria, dopo che siamo stati testimoni delle fatiche estenuanti di chi ha lavorato e tuttora lavora negli ospedali e nelle case di cura; dopo che ci siamo resi conto che ci vuole e ci vorrà ancora del tempo, prima di ripristinare le nostre abitudini consuete; dopo che abbiamo incominciato a sentire le conseguenze economiche e sociali di questa vicenda; dopo che abbiamo visto tanti, troppi morti, specie tra i nostri anziani, spesso portati al cimitero senza la possibilità di un ultimo abbraccio, di un modo per celebrare il lutto… ebbene, dopo tutto questo e altro, che è inutile elencare di nuovo, forse facciamo più fatica a ripetere con tranquillità che «andrà tutto bene»: ci vuole molto ottimismo, molta forza di volontà, e non tutti ce l’hanno.
Dire che «tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio…», come dice Paolo, non significa semplicemente dire in un altro modo che «andrà tutto bene». Ciò che ha in mente Paolo non è un ottimismo superficiale, e neppure soltanto un augurio pieno di buone intenzioni consolatorie.
Paolo sta proclamando la verità che già accade, e che lo sguardo della fede è capace di cogliere: «Sappiamo…», dice. È una constatazione, per lui, una verità certa. Perché egli sta proclamando la verità della Pasqua, di quella Pasqua che ci aspetta, di qui a pochi giorni, e che celebreremo ancora una volta – anche se in un contesto e con modalità del tutto inaspettate per noi – per capire proprio lì, nella contemplazione del cammino del Signore, che cosa significa che «tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio…».
Sarebbe stata una presa in giro, dire a Gesù, mentre veniva arrestato, picchiato, abbandonato dai discepoli, consegnato come un oggetto dai capi religiosi a Pilato, da Pilato a Erode da Erode a Pilato, e poi messo nelle mani dei soldati che lo prendevano in giro e lo percuotevano, e che poi l’hanno caricato della croce e condotto via come un malfattore… sarebbe stata una presa in giro, un’altra presa in giro, oltre a quelle che ha effettivamente subito, dirgli: dài, andrà tutto bene… È, in fondo, la presa in giro di quelli che, sotto la croce, gli dicono: scendi dalla croce e ti crederemo; hai salvato altri, salva te stesso…
Gesù ha cercato qualcosa d’altro. Non ha cercato la croce; ha cercato il Padre, ha cercato in ogni situazione la verità e la giustizia del suo Regno e la fedeltà del suo amore, che egli ha voluto testimoniare e offrire a quelli a cui il Padre lo ha mandato. Ed è rimasto fermo in questa ricerca del Padre e nella verità del suo amore fedele anche in mezzo alla tribolazione e alla sofferenza, anche davanti alla sfida della croce. Così, e non in altro modo, ha potuto sperimentare in se stesso, prima di tutto, e testimoniare a noi, che tutto davvero concorre al bene di quelli che amano Dio e, prima ancora, sono da Lui amati e chiamati a pienezza di vita.
A tutti noi, come credenti, è proposto sempre da capo di riconoscere, accogliere e testimoniare questo amore in ogni situazione, nella salute come nella malattia, nei tempi gioiosi come nelle emergenze e nelle fatiche, sostenuti dalle testimonianze del bene (e quante ne abbiamo viste, anche in questi giorni!) e perseverando, con l’aiuto di Dio, anche di fronte al peccato che troviamo in noi e fuori di noi.
È questa anche, mi sembra, la testimonianza di Caterina degli Uberti. Colpita a morte dal marito violento, chiede i sacramenti, e viene per questo soccorsa dalla Vergine Maria proprio qui, dove ci troviamo. Chiede, Caterina, di affidarsi anche davanti alla morte all’amore fedele di Dio, che nella vita ha sperimentato da credente e nutrendosi dei segni di salvezza, che aveva trovato nella vita della Chiesa. Caterina avrebbe potuto chiedere la salute del corpo, la guarigione. Non ci sarebbe stato, non c’è nulla di male, certo, in una preghiera così: ed è la preghiera che continuiamo a presentare a Dio per tutti quelli che lottano contro la malattia.
Ma a Caterina premeva qualcosa d’altro, qualcosa che da credenti dobbiamo dire essere ancora più importante della salute: ed è la presenza di Dio, la comunione con Lui, la fiduciosa certezza di essere nelle sue mani, nella gioia come nel dolore, nella benedizione come nella sventura. Perché è questa presenza, questa comunione – che Gesù ha potuto sperimentare nelle tenebre della croce e nella luce della risurrezione – che ci assicura che appunto tutto concorre al bene, per quanti stanno nell’amore di Dio e sono sicuri che Egli non ci lascerà cadere nel vuoto, non lascerà che la nostra vita si perda per sempre.
Tutto concorre al bene: non vuol dire che tutto andrà sempre bene, che tutto andrà per il meglio, secondo i criteri umani. Vuol dire, invece, che potremo sempre fare affidamento su Dio, perché in Gesù morto e risorto ci è stato rivelato e donato per sempre il suo amore fedele.
E, come ha sperimentato Caterina degli Uberti, possiamo fare affidamento sulla presenza e l’intercessione materna di Maria di Nazaret, la Madre del Signore e madre nostra. Continuiamo a rifugiarci sotto la sua protezione, in particolare qui, in questo bel santuario a lei dedicato. Sappiamo che non disprezzerà le suppliche che le rivolgiamo, noi che siamo nella prova e nella necessità, e che lei, la Vergine gloriosa e benedetta, ci libererà da ogni pericolo. Amen.