Festa della Polizia locale – Omelia del vescovo

Venerdì 21 gennaio 2022, nella chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo, il vescovo Daniele ha presieduto la santa Messa in occasione della festa annuale della Polizia locale, il cui protettore è san Sebastiano (20 gennaio). Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.

Che cosa fare, quando si incontra qualcuno che fa del male, o minaccia di farlo? O cosa fare quando, addirittura, si incontra qualcuno che minaccia di fare del male proprio a me, qualche che ce l’ha proprio con me? Insomma, che fare con il nemico, soprattutto quando lo si ha «a disposizione»?
Il racconto ascoltato nella prima lettura (cf. 1Sam 24,3-21) ci riporta a una vicenda remota, accaduta circa tremila anni fa, che vede per protagonisti i due primi re della storia di Israele; o meglio il primo re, Saul, contrapposto a un giovane molto promettente, Davide; talmente promettente che Saul teme che questo giovanotto, venuto dalla campagna, e che per un po’ è stato al suo seguito, possa un giorno o l’altro prendere il suo posto – come poi, di fatto, accadrà.
Per questo, Saul ha deciso di far morire Davide, il quale, come si dice, si è dato alla macchia, e vive con un gruppo di compagni, cercando di non farsi catturare dal re e compiendo scorribande nel territorio semidesertico di quella che oggi chiamiamo la «terra santa».
E arriva l’occasione buona: Davide, con i suoi uomini, si è rifugiato in una caverna e – combinazione – in quella stessa caverna entra Saul (molto prosaicamente, come si può intuire, per un bisogno personale). Ecco: hai a portata di mano colui che ti sta perseguitando, e che ti vuole morto: potresti facilmente farlo fuori, sbarazzarti di lui, conquistare il regno in un colpo solo…
Si capisce l’atteggiamento dei compagni di Davide, che gli dicono subito: «Ecco il giorno in cui il Signore ti dice: “Vedi, pongo nelle tue mani il tuo nemico: trattalo come vuoi”» (cf. 1Sam 24,5). Come dire: Dio stesso ti mette davanti, su un piatto d’argento, il tuo nemico, ti offre la possibilità di regnare al suo posto; sarebbe da stupidi rinunciare a questa occasione!
La tentazione è fortissima… ma Davide è capace di resisterle. Il nemico è lì, a sua disposizione, e lui lo lascia andare. Si limita a tagliare un pezzetto del mantello di Saul… per poi interpellarlo (a distanza di sicurezza, s’intende). E le parole che Davide rivolge a Saul ci aiutano a entrare sempre meglio nel significato di questa scelta tutt’altro che ovvia, come dirà poi lo stesso Saul: «Quando mai uno trova il suo nemico e lo lascia andare sulla buona strada» (v. 20)?
Già nella caverna, Davide aveva già anticipato una prima spiegazione per la sua scelta. Ai compagni aveva detto: «Mi guardi il Signore dal fare simile cosa al mio signore, al consacrato del Signore, dallo stendere la mano su di lui, perché è il consacrato del Signore» (v. 7).
Saul era stato scelto come re di Israele da Dio stesso, e aveva ricevuto da lui, attraverso il profeta Samuele, la consacrazione regale. Qualsiasi cosa Saul abbia fatto o cerchi di fare, questo è un dato che non viene meno: c’è in lui una dignità che non può mai essere calpestata. Cercando di uccidere Davide, Saul si comporta male, sicuramente: ma in lui rimane la dignità che Dio stesso gli ha conferito.
Accade troppo spesso che noi, invece, identifichiamo una persona solo a partire dall’eventuale male che compie, e non riusciamo (o forse non vogliamo) vedere in lui, prima di tutto – e anche dopo tutto – la sua dignità di persona. «È un ladro, è un imbroglione, è un corruttore, un assassino…». Questo «è», rischia di essere una trappola: in quell’etichetta, noi rischiamo di vedere il «tutto» di una persona.
E non vale solo per un re, che nel mondo di Davide (e non solo) è considerato una persona «sacra». Proprio stamattina è tornato su questo tema della dignità irrinunciabile della persona, e di ogni persona, papa Francesco:

“Se la fraternità è la destinazione che il Creatore ha disegnato per il cammino dell’umanità, la strada principale resta quella del riconoscimento della dignità di ogni persona umana.
Nella nostra epoca, tuttavia, segnata da tante tensioni sociali, politiche e persino sanitarie, cresce la tentazione di considerare l’altro come estraneo o nemico, negandogli una reale dignità. Perciò, specialmente in questo tempo, siamo chiamati a richiamare… che la dignità di ogni essere umano ha un carattere intrinseco e vale dal momento del suo concepimento fino alla sua morte naturale. Proprio l’affermazione di una tale dignità è il presupposto irrinunciabile per la tutela di un’esistenza personale e sociale, e anche la condizione necessaria perché la fraternità e l’amicizia sociale possano realizzarsi tra tutti i popoli della terra” (Francesco, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, 21.01.2022).

Anche il nemico, anche chi compie il male, va visto a partire da questa dignità. Ciò non significa che, se compie il male, si debba far finta di niente. A Saul, che lo perseguita senza ragione, Davide chiede di esaminare il suo comportamento, e di riconoscere che è un comportamento ingiusto.
A volte pensiamo che atteggiamenti come il perdono, la riconciliazione o, come dicevo, il riconoscere la dignità anche di chi compie il male, equivalga ad accettare tutto, a permettere tutto. Non è così, almeno secondo la visione cristiana. Se ci è chiesto di rispettare la dignità anche di chi compie il male; se addirittura ci è proposto di amare persino il nemico, questo non significa far finta che il male non ci sia.
Il male c’è (anche in noi, almeno qualche volta…) e va riconosciuto, perché ci si possa allontanare da esso. Si rispetta la dignità della persona, anche di quella che compie il male, aiutandola nel modo giusto a riconoscere questo male, e fare scelte di bene. Davide, col suo comportamento, ci ricorda che però non si affronta il male, per cercare di vincerlo in noi e negli altri, vendicandosi, o umiliando l’altro, e tanto meno sopprimendolo.
Finalmente, c’è un terzo risvolto, nel comportamento di Davide, che va sottolineato, anche se questo emerge più dall’insieme della sua storia, che da questo singolo episodio da solo (ma va notato che ce n’è un altro, abbastanza simile, in cui Davide si comporterà allo stesso modo: cf. 1Sam 26).
Davide non è stato certo quello che si chiama «uno stinco di santo». Anche lui ha compiuto dei delitti, anche lui ha peccato – persino più di Saul, per quel che la Bibbia ci lascia capire; e ha anche pagato caro, già nella sua vita, per il male che ha compiuto.
Però, se Davide rinuncia a vendicarsi di Saul, a fargli del male anche quando ne avrebbe l’occasione e, secondo un giudizio umano, sarebbe anche giustificato, è perché si fida radicalmente di Dio, e si mette pienamente nelle sue mani.
In un certo senso, Davide rinuncia a difendersi, a proteggere se stesso con la violenza, perché trova in Dio la sua difesa e la sua protezione. Secondo la Bibbia, il salmo con cui abbiamo pregato dopo la prima lettura fu composto da Davide «quando fuggì da Saul nella caverna» (Sal 57/56,1).
In questo salmo, Davide esprime la sua piena fiducia in Dio: «all’ombra delle tue ali mi rifugio finché l’insidia sia passata… [Dio] mandi dal cielo a salvarmi, confonda chi vuole inghiottirmi; Dio mandi il suo amore e la sua fedeltà» (vv. 2.4). Proprio rifugiandosi in Dio, e aspettando da lui l’aiuto e il soccorso, Davide diventa capace di rinunciare al male, di resistere alla tentazione della vendetta, e di incamminarsi sulla strada dell’amore verso il nemico, che poi Gesù insegnerà a tutti i suoi discepoli.