Epifania del Signore 2022 – Omelia del vescovo Daniele

Omelia del vescovo Daniele nella celebrazione dell’Epifania del Signore (Cattedrale di Crema, 6 gennaio 2022)

Se, dopo un viaggio di centinaia, forse migliaia di chilometri, arrivati ormai vicinissimi alla meta – Betlemme dista meno di dieci chilometri da Gerusalemme – i Magi hanno bisogno di chiedere indicazioni, di domandare: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2), evidentemente è perché quella stella, che avevano visto nel suo sorgere, non li guidava più, ne avevano smarrito la luce.
Certamente l’evangelista, nel suo racconto, vuole suggerire anche un’altra ragione: per arrivare a Gesù, bisogna passare attraverso il popolo di Israele, e interrogare le sue Sacre Scritture, mettersi in ascolto dei suoi profeti. Non importa se «tutta Gerusalemme», insieme con Erode, rimane turbata; non importa se i capi dei sacerdoti e gli scribi sanno dare la risposta giusta, e citare con precisione il passo del profeta Michea – dove si preannuncia che il Messia, discendente di Davide, nascerà dalla città di Davide, cioè da Betlemme – ma poi non sembrano molto interessati ad andare loro stessi a vedere che cosa è successo…
Gesù Cristo è venuto per tutti i popoli, per tutta l’umanità, e proprio la festa di oggi ce lo ricorda in modo particolare. Ma il passaggio attraverso il popolo di Israele è necessario, e noi ancora oggi leggiamo i testi dei profeti e tutte le Sacre Scritture, anche quelle che chiamiamo l’Antico testamento (appunto la Bibbia del popolo di Israele), ricordando ciò che san Girolamo diceva all’inizio del suo commento al profeta Isaia, e cioè che ignorare quelle Scritture, quelle pagine, significa ignorare Cristo, non conoscerlo adeguatamente.
I Magi devono passare di lì, anche loro; e proprio dopo aver ricevuto dal popolo d’Israele l’indicazione necessaria per andare lì dove c’è Gesù, tornano a vedere la luce della stella: «Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima» (vv. 9-10).

I Magi ritrovano la luce della stella; l’avevano vista all’inizio, e si erano messi in cammino. E forse è capitato a loro ciò che può succedere anche a noi. Anche noi abbiamo avuto sicuramente, nella nostra vita, momenti e situazioni nelle quali ci è parso che si accendesse non una stella, ma un intero universo di stelle; giorni di grande gioia, giorni nei quali incominciava per noi qualcosa di esaltante, un nuovo passaggio della nostra vita – giorni come quello del matrimonio, o della nascita di un figlio; o, per un prete, quello della sua ordinazione; giorni di successo, ricchi di speranza e di futuro…
E poi ci è capitato, facilmente – credo che succeda a tutti, in un modo o nell’altro – di vedere spegnersi quella luce, di sperimentare l’affievolirsi della gioia, di sentir venir meno in noi la speranza. Succede quando si incontrano le inevitabili difficoltà, dentro o fuori di noi; succede perché ci accade di finire in una situazione oggettivamente non buona, o anche perché succede a noi stessi di fare qualcosa di male – stamattina, in carcere a Cremona, un detenuto mi ha raccontato un’esperienza di questo genere: la vita che andava bene, tante soddisfazioni… e poi, un giorno, in risposta a un gesto violento, uno ancora più violento, finito nell’uccisione di una persona… e tutto crolla, e la luce si spegne!
Anche senza arrivare a estremi come questo, ci accade di smarrire la stella, di non ritrovare più la luce vista all’inizio. Il viaggio dei Magi ci insegna allora, prima di tutto, a non lasciarci vincere da ciò che può capitare, e a continuare con perseveranza e fiducia il cammino intrapreso. I Magi ci invitano a credere – sì, questa è una dimensione fondamentale della fede – che quella speranza, quella bellezza, quel futuro che avevamo intravisto nel suo sorgere, rimane ancora vera per noi, e merita che continuiamo a cercarla.
Non si può sempre andare avanti in piena luce, che sia quella del sole o quella delle stelle: ne sappiamo abbastanza, qui da noi, della nebbia, per renderci conto che anche nella nostra vita, e non solo nel nostro clima, dobbiamo a volte camminare dentro la nebbia, anche per tempi lunghi. I Magi ci invitano a credere, quasi ostinatamente, direi, che la luce vista all’inizio è quella che Dio stesso ha fatto brillare per noi; e che persino una catastrofe come quella che mi raccontava il detenuto di questa mattina può diventare occasione – me lo diceva lui stesso – per rimettersi in cammino in modo nuovo.
Alimentando questa speranza, forse addirittura possiamo diventare anche noi luce per altri, che chiedono aiuto, che domandano di essere aiutati sul cammino della vita; che chiedono dove possono trovare ragioni buone per vivere e impegnarsi, anche in mezzo a mille difficoltà. E proprio noi cristiani dovremmo aiutarli – non a parole, ma con la testimonianza, e con una presenza amica e incoraggiante – a trovare la strada verso Gesù Cristo, lui nel quale trova compimento il nostro desiderio di una vita buona e piena.

Sì, i Magi avevano smarrito la stella, ma non si sono per questo scoraggiati nella loro ricerca. E vorrei suggerire un’ultima prospettiva, ancora un’altra via, per ritrovare quella stella, quando dovessimo perderla. La suggerisce lo scrittore e poeta francese Edmond Rostand, in una poesia che parla appunto dei Magi che persero la stella: la persero per averla fissata troppo a lungo, e nella loro sete di sapere la cercarono – due di loro, in particolare, che erano sapienti di Caldea e sapevano scrutare i moti degli astri facendo calcoli complessi – ma invano…

E invece «il povero re nero, disprezzato dagli altri, /
disse a se stesso: “Pensiamo alla sete /
che non è la nostra. /
Occorre dar da bere, lo stesso, agli animali”. /
E mentre reggeva il suo secchio, /
nello spicchio di cielo /
in cui si abbeveravano i cammelli /
egli scorse la stella d’oro che danzava silente».

Mi sembra molto bella, questa intuizione poetica: la stella invano cercata coi calcoli sapienti, brilla riflessa nell’acqua con la quale umilmente si dà da bere a un animale affaticato…
Quando ci sembrerà di aver smarrito la stella, di aver perso la speranza, penso che ci farà bene piegarci all’umiltà di qualche gesto, apparentemente piccolo, addirittura umiliante, forse, di servizio, di premura, di carità… Lì, soprattutto negli occhi del fratello, Dio sicuramente farà brillare il riflesso della luce di Cristo, e darà nuovo slancio al cammino della nostra fede.