Epifania del Signore 2021 – Omelia del Vescovo

Il vescovo Daniele ha presieduto la solenne celebrazione dell’Epifania del Signore in Cattedrale a Crema nel pomeriggio del 6 gennaio 2021. Hanno concelebrato con lui anche i missionari cremaschi p. Pierluigi Maccalli e p. Giuseppe Mizzotti. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.

Ciò che vede il profeta non è ciò che vedono gli altri. Il profeta vede sorgere una grande luce, mentre intorno è buio; vede una città un tempo sconosciuta, verso la quale ora convergono popoli che vengono da lontano, in una specie di grande pellegrinaggio universale; vede una città un tempo povera, spopolata, lasciata in rovine, che adesso accoglie ricchezze da tutte le parti, conosce un’era di grande fecondità; non è più un piccolo centro sperduto e ignoto ai più, ma la capitale mondiale, potremmo dire, di speranze e attese per tutti i popoli della terra.
È la visione che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Dove il profeta parla a Gerusalemme, forse verso l’anno 500 prima di Cristo, annunciandole questo destino di gloria e grandezza… che però è molto diverso da ciò che Gerusalemme sta effettivamente vivendo in quel momento. Ma non è che le cose siano diverse perché il profeta annuncia qualcosa che accadrà in futuro. Sì, è vero, nell’oracolo ci sono alcuni verbi al futuro, ma ciò che il profeta annuncia è un presente, che Gerusalemme deve guardare. «Àlzati», adesso; «rivestiti di luce», adesso, perché «viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te» (cf. Is 60,1): adesso, non domani o dopodomani.
«Alza gli occhi intorno e guarda» (v. 4): questo è l’atteggiamento fondamentale. Il profeta è colui che alza gli occhi per vedere adesso l’opera di Dio; e il suo compito è precisamente quello di far alzare lo sguardo anche agli altri, ai suoi contemporanei, che rischiano di vedere solo ciò che gli occhi umani sono capaci di vedere, e non scorgono ciò che Dio adesso sta preparando.
Senza questo sguardo più alto, che non è sguardo di fuga o di illusione, ma capacità di vedere ciò che già oggi si preannuncia e si prepara, probabilmente i Magi non si sarebbero mai messi in cammino, non avrebbero attraversato pianure e montagne, deserti e paludi, per arrivare a Betlemme. Guardando più in grande e più in alto, hanno visto balenare la luce di una stella. Come avranno fatto a distinguerla, tra le migliaia e migliaia di stelle che lo sguardo degli antichi poteva scorgere nel cielo non ancora inquinato da tutte le nostre illuminazioni?
Non lo sappiamo: eppure, quel brillio è stato sufficiente a far capire loro che proprio nel presente stava accadendo qualcosa di nuovo. Non è neanche facile capire che cosa possono aver capito di quella nascita, di quel bambino che finalmente sono riusciti a scovare. Non conosciamo i loro pensieri e sentimenti, se non la gioia di aver ritrovato quella stella (cf. Mt 2,10), la sicurezza di non aver fatto invano tutto quel cammino.

Da credenti, nella luce che ci viene dai testi dei profeti e degli apostoli, possiamo tentare noi di dare un nome all’esperienza dei Magi, con una parola che ci spiega anche lo sguardo diverso, ‘altro’, del profeta, di cui abbiamo letto nella prima lettura: ed è la parola promessa, che abbiamo sentito nella seconda lettura (cf. Ef 3,6), più precisamente la parola della promessa di Dio, la parola di un Dio fedele alla promessa che ha fatto.
Tutta la Bibbia è attraversata da gente che si mette in cammino, che mette in gioco la propria vita, i propri ideali, i propri desideri e speranze, su questo fondamento: Dio promette il bene, Dio promette un compimento, una riuscita, un senso, alla nostra vita; e di questa promessa possiamo fidarci, e per questa fiducia possiamo metterci in cammino. Non abbiamo bisogno di garanzie, di assicurazioni sulla vita: ci basta sapere che Dio è fedele, Dio è di parola, ciò che ha promesso lo manterrà. Addirittura – lo si vede spesso, nella Bibbia – non abbiamo neanche bisogno di vedere materialmente il compimento della promessa di Dio.
È stato così appunto per ciò che chiamiamo l’attesa del Messia, quel Messia che la nostra fede riconosce proprio in Gesù: per secoli, uomini e donne hanno vissuto nella fede, aspettando il Messia promesso da Dio, e sapendo che Lui lo avrebbe mandato. E anche se nel corso della loro vita non sono riusciti a vederlo, non hanno smesso di credere alla fedeltà di Dio alla sua promessa: e non si sentivano degli illusi.
Solo così possiamo capire lo sguardo del profeta della prima lettura, possiamo capire il viaggio dei Magi e la fede di uomini e donne che hanno visto che proprio Gesù è il compimento di tutte le promesse di Dio – come dice Paolo, scrivendo ai Corinzi, in Gesù tutte le promesse di Dio sono diventate il ‘’, l’amen (cf. 2Cor 1,20): Gesù attesta che Dio è fedele alla sua promessa, che di lui ci si può fidare.
E allora, ci si può anche mettere in gioco. Perché se Dio è fedele alle sue promesse, allora anche i nostri desideri di un mondo diverso, dove ci siano giustizia e pace, dove la speranza dei poveri non sia calpestata, dove si possa riconoscere dignità e realizzare vita buona per tutti, dove ci si possa aprire al perdono e alla fraternità, dove si possa sperare con una speranza più forte della morte… ecco, tutto questo, che sta dentro alla promessa di ciò che Gesù ha poi chiamato il «regno di Dio», allora non è vano: e ci si può impegnare su questa via, si può cercare il Regno di Dio e la sua giustizia sopra tutto il resto (cf. Mt 6,33), si può guardare la nostra realtà con uno sguardo diverso.

La festa di oggi è anche la festa di una Chiesa consapevole che la fedeltà di Dio alle sue promesse, compiuta in Gesù, deve essere annunciata a tutti, perché la promessa è per tutte le genti (cf. II lettura): l’Epifania è festa missionaria per eccellenza. I Magi sono come le primizia di tutti i popoli, chiamati a scoprire in Gesù il Dio fedele alle sue promesse.
La presenza tra noi di alcuni missionari – padre Gigi Maccalli, padre Giuseppe Mizzotti – ci ricorda che questa missione è compito di tutta la Chiesa; ma essi ci ricordano anche il grande numero di uomini e donne che, originari di questa nostra terra, hanno sentito la chiamata a diventare testimoni della promessa di Dio, e sono partiti per la missione. Ne abbiamo avuti tanti nel passato, ne abbiamo anche nel presente, grazie a Dio; uno di loro, Alfredo Cremonesi, ha sigillato con il martirio questa vocazione, e lo possiamo oggi invocare come intercessore ed esempio.
E i missionari sanno molto bene che la promessa di Dio ha bisogno di uno sguardo lungo, alto, paziente e fedele. Accade a loro, ad esempio, di non poter far niente, o quasi, in certi periodi di tempo, per mettere in atto la loro missione. Così è stato per p. Gigi, per i suoi due lunghi anni di prigionia nel deserto; così è, in modo diverso, per p. Giuseppe, bloccato qui in Italia da molti mesi, a causa della pandemia, e impossibilitato a raggiungere le sue comunità in Perù. Eppure, i missionari sanno che neppure questi tempi di inazione, queste attese forzate, sono invano. Ancora una volta, la cosa importante è il nostro affidamento al Dio fedele: è lui che compie le sue promesse.
E allora possiamo dirgli: «Signore, anch’io, come i Magi, ho visto sorgere la tua stella, e sono disponibile a mettermi in cammino, perché anche la mia vita, quali che ne siano le condizioni, possa essere testimonianza del tuo amore fedele. Tieni alto il mio sguardo, sorreggimi quando sono stanco e provato, quando mi sembra che la tua stella non brilli più nella vita mia e del mondo. So che sei un Dio fedele, e che la tua promessa di salvezza non fallirà. Fa’ che tutti i popoli, tutte le donne e gli uomini del mondo ti conoscano, Signore, e ti incontrino come sorgente perenne di gioia e di pace».