Domenica delle Palme – Omelia del vescovo Daniele

Domenica 5 aprile 2020, in Cattedrale a porte chiuse, alle 10, si è tenuta la celebrazione della benedizione degli ulivi e della Messa della “Domenica delle Palme della Passione del Signore”. Qui di seguito l’omelia del vescovo Daniele

Dopo l’ascolto del lungo racconto della Passione del Signore secondo Matteo – è il più lungo racconto dei racconti di passione che troviamo nei vangeli – conviene che le parole siano brevi, guardando anche all’esempio del Signore: il quale, soprattutto nella parte più drammatica della Passione, dopo l’arresto, parla pochissimo con gli uomini mentre (lo si intuisce) prolunga il dialogo con il Padre, incominciato nel Getsemani e concluso, almeno nella vita terrena, con la drammatica invocazione sulla Croce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?».

Parlano di più gli altri, i capi del popolo, Pilato, i soldati, le folle, e anche i discepoli. Parla anche Pietro, anche se la sua parola prevalente è fatta di negazioni, è quel «no» ripetuto fino al giuramento, fino a dire: «Non conosco quell’uomo» (Mt 26, 74).
Qualcuno ha notato che questa, nel vangelo di Matteo, è l’ultima parola che sentiamo dire da Pietro. Nel vangelo di Matteo: cioè in quel vangelo nel quale la professione di fede di Pietro nei confronti di Gesù è stata riportata e sottolineata con una forza che non ha paragoni con gli altri vangeli.
Pietro, che alla domanda di Gesù ai discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?», aveva risposto: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», si era sentito dire da Gesù: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli…» (16, 15-19).
Ecco, le chiavi del Regno Gesù le ha affidate a quest’uomo, a questo discepolo che lo ha rinnegato per tre volte, e che nell’ultimo sguardo che l’evangelista posa su lui solo ci viene presentato mentre piange amaramente

Tutto il racconto della Passione di Gesù secondo Matteo è una conferma della professione di fede di Pietro, ma è una conferma paradossale. Al sommo sacerdote, che chiede solennemente a Gesù: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio», Gesù risponde di sì: «Tu l’hai detto» (27, 64); ma questa professione di fede viene subito dichiarata una bestemmia che merita la morte (cf. vv. 65-66) E diventa subito anche oggetto di derisione, di scherno: i presenti lo schiaffeggiano prendendolo in giro: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?» (v. 68); è oggetto dell’accusa davanti a Pilato («… ‘che farò di Gesù, chiamato Cristo?’. Tutti risposero: ‘Sia crocifisso!’» (27, 22); ritorna nelle prese in giro e nelle sfide sotto la croce: «È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!» (vv. 42-43).  E ritornerà, finalmente, nelle parole dei pagani, del centurione e degli altri soldati sotto la croce: «Davvero costui era Figlio di Dio!» (v. 54).

Sì, non dobbiamo essere troppo duri con Pietro. Per lui, come per noi, il problema non è professare la fede a parole, anche sincere e generose, come quando Pietro diceva, qualche ora prima del suo rinnegamento: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò» (26, 35).
Il problema è far fronte alle irrisioni o al sarcasmo a cui la fede viene esposta (non possiamo parlare, per noi, di persecuzioni, ma certo per altri cristiani sì); è far fronte al rischio di irrilevanza della fede, all’indifferenza, o anche solo alla tentazione di considerare la fede un piccolo settore, un capitolo in definitiva secondario della nostra vita, o anche una consolazione a buon mercato.
Se vogliamo che anche oggi, anche – in concreto – nella situazione di emergenza e crisi che stiamo vivendo, la fede sia fondamento di una speranza salda, di una parola forte di fiducia e incoraggiamento, di un impegno generoso e del dono di noi stessi nella carità, facciamo come Pietro: riconosciamo davanti a Gesù crocifisso la fragilità della nostra fede, la superficialità dei nostri propositi, chiediamone perdono e lasciamo che sia il Signore, nella sua Pasqua, a riaprire per noi la strada che ci permetterà di seguirlo fino alla fine.