Commento del vescovo Daniele al Vangelo della terza domenica di Avvento

Domenica 16 dicembre 2018 – Vangelo di Luca (3, 10-18)

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La gioia è il motivo ricorrente della terza domenica di Avvento: per questo, è chiamata «domenica Gaudete», a motivo dell’antica antifona iniziale, che riprendeva le parole di Paolo proposte nella seconda lettura: «Fratelli, siate sempre lieti nel Signore (‘Gaudete in Domino’), ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!» (Fil 4, 4-5).
Tutt’altro che gioiosa appare, però, nel vangelo, la predicazione di Giovanni il Battista. Il lezionario tralascia le parole dure, che Giovanni rivolgeva ai suoi ascoltatori, chiamandoli «razza di vipere», parlando di una scure pronta a tagliare l’albero privo di frutti, per farlo diventare legna da ardere (cf. Lc 3, 7-9).
Tutto questo non c’è nel vangelo della terza domenica di Avvento, ma è ben presente nel testo di Luca; e tutto questo serve a richiamare a un serio impegno di conversione: «Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”» (v. 8). Siamo ben lontani, si direbbe, dall’invito caloroso alla gioia, che Paolo rivolge ai Filippesi, siamo lontani dalle traiettorie del Natale – e, del resto, quando Giovanni predica, il Natale è ormai passato remoto, lui, e anche Gesù, si avviano ai trent’anni…
Eppure, nonostante il tono minaccioso, severo, del Battista, c’è qualcuno che non si lascia scoraggiare, e prova a chiedere qualche spiegazione in più. Bene, tu ci chiami alla conversione in modo così deciso e tagliente. Allora, «cosa dobbiamo fare?». Cosa vuol dire, in concreto, convertirsi?
Le risposte di Giovanni sono persino deludenti. Uno si aspetta chissà quali cose, e invece: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Ai pubblicani, cioè gli esattori delle tasse per conto dell’occupante romano: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Ai soldati (anch’essi per conto dell’Impero): «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe» (cf. vv. 10-14).
Tutto qui? Tutto qui. In fondo, Giovanni non chiede nulla di più che un po’ di giustizia e di onestà. È vero, a volte facciamo fatica persino a mettere in pratica queste semplici cose. In ogni modo, Giovanni non chiede cose impossibili, non chiede la carità eroica. Prima di essere rinunciatario, prima di tirarmi indietro, forse posso domandare al Signore di incominciare a fare qualche piccolo passo concreto di conversione, di cambiamento di vita. Sarà anche poca cosa, ma se non faccio neppure un passo, certo non mi muoverò mai; se, invece, incomincio a camminare, forse mi accorgerò che Dio mi aiuterà a fare anche i passi successivi. 
E forse scoprirò che anche la parola severa, esigente, di Giovanni Battista, è «vangelo», cioè buona notizia, apportatrice di gioia. «Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo», dice l’ultimo versetto del vangelo. «Esortava», incoraggiava, certo anche rimproverava e condannava: ma evangelizzava, perché in tutto risuonava la promessa: il Signore viene, il Signore è vicino, viene per noi la grande gioia della prossimità di Dio alla nostra vita, viene Colui che battezza, cioè immerge nel fuoco dello Spirito, che rinnoverà davvero in modo decisivo tutta la nostra vita e l’intera creazione.
Lasciamoci raggiungere da questo dono; accogliamo l’invito alla conversione, anche a partire da poco, per scoprire la grande gioia che Dio tiene in serbo per chi si fida di Lui e si lascia raggiungere dalla venuta del Salvatore.