Commento del vescovo Daniele al Vangelo della domenica della Santa Famiglia

Domenica 30 dicembre 2018 – Vangelo di Luca, 2, 41-52

Ascolta l’audio di questo commento a questo link

Nella domenica che segue il Natale, la Chiesa celebra la Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Ma per arrivare a parlare di questa famiglia singolare, e di che cosa essa può dire ancora a noi oggi, bisogna prima fermare lo sguardo su Gesù: anche perché il vangelo – con il racconto di Gesù perduto e poi ritrovato tra i maestri, i sapienti, nel tempio di Gerusalemme – ci dice diverse cose importanti su di lui.

Ci riporta, anzitutto, la sua prima parola. Secondo il racconto di Luca, Gesù è un adolescente, ha dodici anni, ma non lo abbiamo ancora sentito aprire la bocca. A Maria, che gli fa presente la preoccupazione sua e del padre terreno, Giuseppe, Gesù risponde parlando di un altro Padre, il suo Padre, centro di tutta la sua esistenza.
Questa è la sua prima parola: e non è un caso che anche la sua ultima parola, nell’ultimo respiro della sua vita terrena, sia ancora riferita al Padre, al quale, prima di morire, prima di morire, Gesù si consegna totalmente, dicendo: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (cf. 23, 46).

La seconda cosa importante, a proposito di Gesù, è questa: «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (v. 52). Luca l’aveva già detto, proprio subito prima di raccontare l’episodio di Gesù fra i maestri del tempio: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (cf. 2, 40). È chiaro che a Luca sta a cuore farci vedere Gesù che cresce. Qualche volta si rischia pensare a un Gesù già «tutto fatto»; o magari si pensa che sia cresciuto fisicamente, ma che non avesse bisogno di una vera crescita sul piano intellettuale e spirituale. L’evangelista, invece, ci dice che Gesù è cresciuto in tutte le dimensioni del suo essere: nel corpo («in età»), sul piano intellettuale («in sapienza»), ma anche sul piano spirituale («davanti a Dio»).
In questa crescita, evidentemente, egli ha un orientamento chiaro: che è appunto il Padre, verso il quale egli si protende con tutto se stesso. E così sarà per tutta la vita terrena di Gesù, fino al compimento, precisamente nel mistero della Pasqua. Qui si vedrà in modo pieno che Gesù è appunto il «Figlio», che vive in piena sintonia col Padre, e che si dona per compiere il suo progetto di amore e di misericordia.

E la famiglia? La famiglia non arriva subito a capire tutto questo. Tuttavia, dice ancora l’evangelista, Gesù «scese… con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso» (v. 51). La crescita di Gesù continua: ma anche la famiglia può diventare il luogo adatto, perché avvenga questa crescita. La famiglia dovrebbe essere, anzi, proprio il luogo propizio, dove ciascuno impara a conoscere la chiamata di Dio ed è aiutato a rispondervi col dono della propria vita; il luogo dove gioie e dolori, momenti di serenità e pace, come pure situazioni di dolore e sofferenza, tutto coopera al compimento della vita di ciascuno.
Non dev’essere stato facile neppure per Maria e Giuseppe, con quel loro figlio così «anomalo»! Ma c’è un’indicazione di metodo preziosa, che ci dà ancora il vangelo: «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (v. 51). Maria non pretende di capire tutto subito; ma porta nel cuore la vicenda di Gesù, sua e di Giuseppe, come qualcosa di prezioso, anche nelle difficoltà e nei punti di domanda. Portare nel cuore queste cose significa prendersi il tempo di capire, di discernere, di entrare poco alla volta anche nelle difficoltà o nelle sorprese, imparando a cogliervi la presenza fedele di Dio.
Mi auguro che pure nelle nostre famiglie le difficoltà e i problemi si possano affrontare anche in questo modo: prendendosi il tempo e la pazienza per la comprensione vicendevole, davanti a Dio che non mancherà di manifestare in esse il suo amore fedele.