Commemorazione dei fedeli defunti – Omelia del vescovo

Pubblichiamo l’omelia tenuta dal vescovo Daniele nella Messa per la Commemorazione di tutti i fedeli defunti (Cattedrale di Crema, 2 novembre 2020)

 

La commemorazione delle nostre sorelle e dei nostri fratelli defunti ci porta ogni anno a fermarci sulla realtà della morte, a fare i conti con questo limite radicale della nostra vita, che spesso il contesto nel quale viviamo, e forse anche le nostre paure personali, ci portano a rimuovere, ad allontanare.
Certo, ci si può chiedere qual è il modo giusto, per fare questo. A un primo sguardo, ad esempio, anche le letture bibliche proclamate in questa Messa possono sembrarci letture consolatorie, nel senso che parlano di un bene futuro, mentre noi ancora sperimentiamo tribolazioni e fatiche, e certo non siamo esentati dalla morte. La «voce potente» che risuona nella liturgia dell’Apocalisse promette che Dio «asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno…» (Ap 21,4): intanto, però, lacrime, lamento, affanno e morte fanno ancora parte del nostro presente! E anche Gesù promette beni futuri: promette beatitudine, sazietà, misericordia, giustizia e pace… (cf. Mt 5,1-12); intanto, però, si fa esperienza di tribolazione, di fame, di ingiustizia…!
È il modo giusto, questo, di guardare al mistero della morte? Non rischiamo, proprio noi cristiani in particolare, di offrire consolazione a buon mercato, quella consolazione che Leopardi deride amaramente, nel suo Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, quando nota che è già rischio di morte lo stesso venire al mondo, e si chiede: «… perché dare al sole, / Perché reggere in vita / Chi poi di quella consolar convenga?» (vv. 52-54).

Provo a condividere due brevi riflessioni, che vengono dalla nostra fede, e che possono aiutarci forse a meditare il mistero della morte in un orizzonte di autentica speranza, e non di facile consolazione.

1. La prima è che, sì, la promessa di un bene a venire – per dirla con le grandi parole della fede, la promessa della vita eterna, della partecipazione alla risurrezione di Cristo, del Paradiso… – è promessa che ci fa guardare al futuro, e al futuro al di là della soglia della morte: ma proprio per questo è promessa capace di dare senso al nostro presente: e dare senso è molto più che offrire una consolazione a buon mercato.
«Dare senso» significa indicare una direzione e, ancor più, mostrare che quella direzione conduce a una meta. Non è la stessa cosa, essere pellegrini diretti a una meta precisa, ed essere, per così dire, «turisti» svagati e, tutto sommato, sempre distaccati rispetto al loro stesso viaggiare.
La fede ci invita a guardare alla vita come a un cammino che ha un senso, che punta a una meta: essa sta nel futuro, certo, e suppone che attraversiamo il passo arduo e difficile della morte, della fine della nostra vita terrena, per raggiungerla: ma questo, appunto, dà senso a tutto, e ci permette di guardare alla morte non come a una porta che si chiude per sempre, ma come al passaggio definitivo verso la meta della piena comunione con Dio e della gioia che egli ci promette.

2. Inoltre: è vero, certo, che la speranza cristiana promette qualcosa che sta nel futuro; al tempo stesso, però, invita a cogliere già nel presente le anticipazioni, i semi della gioia e della gloria futura.
Qualche volta, sicuramente, abbiamo fatto e facciamo esperienza di gioia, di sollievo, di consolazione… Ne facciamo esperienza, per lo più, quando qualcuno ci aiuta a lenire un dolore, ad asciugare le nostre lacrime, ci dona segni di misericordia, di fiducia e di pace; quando, insomma, siamo aiutati a sperimentare le beatitudini non solo come ciò che attendiamo per un domani più o meno lontano, ma come realtà che segna la nostra vita di oggi.
Ne scaturisce, inevitabilmente, una questione: se e quanto siamo disponibili anche noi a diventare per gli altri strumenti di tutto questo; se diventiamo anche noi capaci di confortare e dare speranza e gioia agli altri; se siamo disponibili a essere strumenti di pace e di giustizia; se vogliamo offrire misericordia e fiducia… Allora anche noi diventiamo testimoni del fatto che la promessa di grazia, di risurrezione, di vita piena, che Dio fa all’uomo, non è vana, perché è già anticipata in questa terra da coloro che, nutriti di questa speranza, la offrono anche agli altri.
Gesù non ha solo annunciato agli uomini la speranza della vita futura, più forte della morte: ha reso visibile e tangibile questa speranza per le donne e gli uomini che incontrava sul suo cammino. Egli fa anche a noi questa grazia: mentre sostiene la nostra speranza, e ci indica la meta che dà senso al nostro pellegrinaggio terreno, ci chiede (e ci rende capaci) di essere gli uni per altri testimoni operosi di questa stessa speranza.
Così facendo, potremo guardare alla morte non con paura, ma con fiducia, come alla porta ultima, che si aprirà anche per noi – e, lo chiediamo a Dio, per tutte le nostre sorelle e fratelli defunti – sulla vita che non avrà fine.