Celebrazione della Passione del Signore – Omelia del vescovo

Omelia del vescovo Daniele tenuta nel corso della Celebrazione della Passione del Signore, Cattedrale di Crema, 2 aprile 2021

 

Nel racconto della morte di Gesù secondo la narrazione del quarto evangelista, che abbiamo appena ascoltato, Gesù muore dopo aver detto un’ultima parola – una sola parola, in greco: «È compiuto!» (Gv 19,30).
Quest’unica parola, l’ultima pronunciata dal Gesù terreno, è come un sasso gettato in uno specchio d’acqua immobile: genera cerchi sempre più ampi, e bisognerebbe approfondirla cercando appunto di seguire uno dopo l’altro questi cerchi: è compiuto tutto ciò che gli eventi della Passione hanno portato con sé: sono compiute le Scritture (come poi l’evangelista mostra ancora negli episodi che seguono la morte del Signore), e con esse è compiuto il disegno di Dio; è compiuta la promessa che Gesù aveva fatto di proteggere i suoi discepoli (cf. 18,8-9); è compiuta la missione che il Padre ha affidato al Figlio per la salvezza del mondo (cf. 17,4); è compiuto ciò che Gesù aveva preannunciato in diverse occasioni durante il suo ministero (cf. ad es. 2,18-22; 7,37-39); è compiuta la volontà di salvezza di Dio per il mondo, quel mondo che rifiuta il Figlio e lo mette in croce, ma resta il mondo amato da Dio, e per il quale appunto egli ha mandato il suo Figlio (cf. 3,16)…
Si potrebbe continuare, e probabilmente non riusciremmo a seguire tutte le onde generate da quest’ultima parola di Gesù, «È compiuto!». C’è in questa parola molto più della soddisfazione dell’artista che contempla la sua creazione finita, riuscita; dell’uomo che termina compiaciuto il lavoro che gli è stato affidato; di chi viene a capo di un’impresa difficile, rischiosa, e dice: ce l’abbiamo fatta!
Anzi: il racconto della passione secondo Giovanni ci invita a confrontare questo «È compiuto!» con il carattere in qualche modo sempre provvisorio, parziale e incompiuto delle nostre imprese. L’evangelista ce lo fa capire in diversi modi e soprattutto, mi sembra, sottolineando il fatto che tutti gli eventi raccontati avvengono in un momento vigiliare.
Tre volte l’evangelista osserva che «era il giorno della Parasceve» (cf. 19,14.31.42), ossia della «preparazione»: era il giorno nel quale ci si preparava alla Pasqua e, in particolare, nel tempio venivano uccisi gli agnelli che si dovevano mangiare poi durante la cena pasquale, dopo il tramonto.
Un altro cenno di questa preparazione lo leggiamo quando Giovanni dice che i capi del popolo, portando Gesù da Pilato, non vogliono entrare nel pretorio – luogo pagano – «per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua» (18,28). C’è un’ironia fortissima, è chiaro, in tutto questo: stanno per condannare a morte un innocente, e al tempo stesso si preoccupano di non contaminarsi, per celebrare la Pasqua!
Ma certamente, con questi dettagli, l’evangelista ci vuole anche dire: la vera Pasqua, è Gesù stesso! Tutto il resto era appunto «preparazione», tutto il resto – senza nulla togliere alla sua importanza – era un rimanere sulla soglia, senza fare il passo decisivo, senza arrivare ancora al compimento. Solo con Gesù si può dire che tutto è compiuto.

Noi facciamo in tanti modi, credo, l’esperienza dell’incompiutezza. Certo, possiamo avere anche molte soddisfazioni, nell’ambito professionale, nel campo degli affetti, delle conoscenze e delle esperienze… Ma quante occasioni mancate, quanti legami rimasti un po’ troppo superficiali, quanti progetti desiderati e mai realizzati, o realizzati solo in parte…
Quante «incompiute», nella nostra vita! È vero, e io stesso in qualche occasione l’ho detto: esistono opere incompiute che sono capolavori; ma certo queste opere stanno lì a testimoniare che l’incompiuto è parte ineliminabile della nostra vita.
Del resto, si potrebbe dire che proprio anche la vicenda del Signore è un’incompiuta: la sua missione dura così poco, le parole che di lui si ricordano riempiono così poche pagine, il «successo» che ha avuto, umanamente parlando, è stato così scarso, la sua fine così ignobile…
Eppure, Gesù dice: «È compiuto!»; e lo dice in un modo insuperabile, lo dice sigillando una pienezza che nessun’altra realtà può raggiungere. Perché il compimento sta nel fatto che Gesù è il Figlio, che di suo ha tutto e solo ciò che riceve dal Padre, e che nulla trattiene per sé, ogni cosa rimettendo nelle mani del Padre, sapendo che in Lui niente va perduto.
Così egli compie la volontà del Padre, che vuole per tutti vita piena, e a tutti assicura un compimento che non si identifica con il successo mondano, ma è appunto fiducia che nulla andrà perduto del nostro lavoro, dei nostri affetti, dei nostri progetti incompiuti, persino dei nostri fallimenti… Nulla andrà perduto se, stando anche noi, povera gente, vicino alla Croce del Signore, sapremo come Lui e per mezzo di Lui consegnare noi stessi al Padre.
E se sapremo, più con i gesti che con le parole, attestare questa speranza nei confronti di chi più si sente perduto, fallito, gettato via dalla vita, scartato e respinto. Chi dice «È compiuto!» è Colui che, come pietra scartata, è stato buttato via, gettato come una cosa inservibile. Credere che Dio, il Padre, lo ha scelto come pietra di fondazione delle nuova umanità, vuol dire anche attestare agli altri, e soprattutto a chi si sente scartato: anche per te, soprattutto per te, Cristo ha dato la sua vita, anche a te offre quel compimento che nulla potrà minacciare, ora e per l’eternità.