80° anniversario di ordinazione di don Bernardo Fusar Poli – Omelia

Bagnolo Cremasco, 29 giugno 2019

In occasione del suo 103° compleanno, il 10 dicembre scorso, don Bernardo mi ha detto che fino a qualche anno fa pregava Dio con una preghiera che, più o meno, poteva assomigliare alle parole che dice l’apostolo Paolo nella seconda lettera a Timoteo: «… è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede…» (2Tm 4, 6) e dunque, insomma – così mi diceva don Bernardo – Signore, se vuoi venire a prendermi…
Poi, saggiamente, don Bernardo ha smesso di pregare! (Riferisco sempre quel che mi ha detto, presenti anche altre persone). Più precisamente: ha smesso di fare questa preghiera, perché il Signore queste cose le sa e, giustamente, è meglio lasciar fare a Lui! E così, eccoci qui a festeggiare un traguardo davvero storico: ottant’anni fa, in questo giorno, per le mani del vescovo Francesco Maria Franco, il ventitreenne don Bernardo veniva ordinato presbitero nella nostra cattedrale. Non ho fatto fare ricerche precise, però qualcosa ho provato a scandagliare: e ho veramente il sospetto che don Bernardo possa essere il prete più anziano d’Italia, sia per età anagrafica che per gli anni di ministero.

Concludendo il suo servizio di parroco di Bagnolo Cremasco, nel 1991, don Bernardo si congedò dai parrocchiani con queste parole: «Mentre ringrazio il Signore per avermi fatto arrivare a questa età [voleva dire, allora, i 75 anni] sempre in buona salute, prego lo stesso di usarmi anche per il futuro uguale benevolenza»: e mi sembra che la preghiera sia stata proprio esaudita. Ma credo che se c’è qualcosa di cui, con don Bernardo, oggi dobbiamo particolarmente rendere grazie a Dio, non sono tanto gli anni, pur così straordinariamente numerosi, della vita e del ministero presbiterale quanto, piuttosto, proprio ciò che Paolo scrive al suo discepolo Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede…».
Parto da quest’ultima frase: «Ho conservato la fede». Vi si usa questo verbo, «conservare, custodire», che è più caratteristico di Giovanni che di Paolo ma che, in ogni caso, è per noi prezioso. Si tratta infatti di qualcosa che è prezioso e delicato, e che va custodito, ma non al modo di un oggetto prezioso che si chiude in cassaforte. La fede, questo dono prezioso che viene da Dio – e infatti, come dice Gesù a Pietro, se egli ha potuto esprimere la sua fede, e la fede della Chiesa, riconoscendo Gesù come «il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16) è perché «né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli» (v. 17) – ci è data perché non la perdiamo ma, soprattutto, perché diventi in noi fondamento di un dinamismo che attraversa tutta la nostra vita; è, insomma, la «fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5, 6).
Anche per Paolo, in concreto, «conservare la fede» significa aver sperimentato che «il Signore… mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero» (2Tm 4, 17). Non si conserva la fede come il talento che il terzo servitore della parabola seppellisce sotto terra (cf. Mt 25, 25), ma spendendosi lietamente nella testimonianza, nell’annuncio, nel ministero, nell’impegno operoso, di cui don Bernardo dava puntualmente conto al termine degli oltre trentacinque anni di ministero parrocchiale qui a Bagnolo – riconoscendo peraltro che senza «il contributo e la corrispondenza [della popolazione] nulla si sarebbe potuto compiere».

Conservare e custodire la fede è anche un impegno dello spirito e della mente; oltre che preghiera e contemplazione, è studio, meditazione, riflessione. Oggi don Bernardo ha la gioia di vedere pubblicato questo suo libro, Gesù Cristo nelle definizioni di se stesso, che è testimonianza di quella curiositas che spinge a leggere, ad annotare, a elaborare, e che viene messa al servizio della fede e soprattutto, in questo caso, a servizio dell’amore per il Signore Gesù, che don Bernardo ci insegna a contemplare nelle diverse sfaccettature con le quali il Cristo si dona a quanti credono in lui e gli affidano la propria vita. 
Conservare la fede significa, in definitiva, accettare di entrare in un cammino, in quel pellegrinaggio della fede che la Lettera agli Ebrei descrive attraverso una «nuvola di testimoni» nel c. 11, arrivando poi a concludere con parole molto vicine a quelle che Paolo scrive a Timoteo: «Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa [o nella «gara», nella «lotta»] che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12, 1-2).
Anche attraverso questo libro don Bernardo ci insegna a tenere fisso lo sguardo su Gesù, percorrendo senza stancarci il pellegrinaggio della fede. Quando poi sarà il momento di dire: «Ho compiuto questa corsa», evidentemente non dipende da noi. Saggiamente don Bernardo ci ricorda che dobbiamo lasciar fare al Signore. Ci basti la certezza, che riprendiamo ancora dalle parole di Paolo (che esprimono però anche l’esperienza di Pietro ascoltata nella prima lettura) che «il Signore [ci] libererà da ogni male e [ci] porterà in salvo nei cieli, nel suo regno» (2Tm 4, 18).

Don Bernardo conclude il suo libro ribadendo con forza la convinzione di fede: Cristo è vivo! «Se Gesù Cristo è vivo, allora il Signore è lui». E allora, con don Bernardo, possiamo riprendere l’«invito accorato» del b. Charles de Foucauld, con le quali don Bernardo conclude la sua riflessione: facciamo sì che «tutta la nostra persona miri a respirare Gesù. Tutti i nostri atti, tutto la nostra vita gridino che noi apparteniamo a Gesù. Tutto il nostro essere rappresenti un riflesso, un profumo, qualcosa che gridi Gesù, che lo faccia vedere, che risplenda come una luminosa immagine».