43ª Giornata per la Vita – Omelia del vescovo

Il Vescovo Daniele ha presieduto la Messa in Cattedrale, nel pomeriggio di domenica 7 febbraio 2021, in occasione della 43ª Giornata per la vita. Riportiamo di seguito la sua omelia.

In occasione della 43ª Giornata per la vita, che celebriamo nelle Chiese di tutta Italia oggi, i Vescovi hanno diffuso un messaggio che vuol far riflettere sul nesso che lega libertà e vita.
Provo a condividere con voi qualche riflessione al riguardo, partendo dalle parole che Paolo scrive ai cristiani di Corinto, e che abbiamo ascoltato nella seconda lettura. Qui si parla esplicitamente di libertà: «Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero» (1Cor 9,19).
Tutto il capitolo 9 della prima lettera ai Corinzi, da cui è tratta questa lettura, ha sullo sfondo la questione della libertà. Incomincia infatti con questa domanda retorica: «Non sono forse libero, io?» (1Cor 9,1). E la risposta sarebbe: sì, certo, sono libero; ho addirittura la libertà che mi è stata data da Gesù Cristo! Ma che cosa vuol dire vivere in questa libertà?
Paolo affronta la questione perché, nella comunità di Corinto, vede il rischio che la libertà diventi un principio che porta a non tener conto degli altri, a trattarli con sufficienza, senza stare attenti a fatiche, problemi e fragilità che alcuni possono vivere. A Corinto – come dappertutto, del resto – c’erano cristiani che su certe questioni pensavano di «saperla lunga», e quindi di potersi regolare secondo criteri che poi mettevano in difficoltà altri.
Per Paolo, il criterio fondamentale che dovrebbe guidare la vita della comunità cristiana non è quello di «chi la sa più lunga», ma è quello di un carità capace di «edificare», di costruire il bene della comunità (cf. 1Cor 8). E per spiegare questo principio, Paolo fa l’esempio della scelta che ha fatto lui: in quanto apostolo, avrebbe il diritto di essere mantenuto dalla comunità (ed effettivamente Paolo in certi casi ha ricevuto aiuti economici dalle comunità che aveva fondato); e quindi avrebbe la libertà, o il diritto, di non fare altri lavori per mantenersi. Questo sarebbe il «saperla lunga».
Però, soprattutto a Corinto, Paolo ha voluto rinunciare a questo diritto: e ha preferito lavorare con le sue mani, mentre pure svolgeva la sua missione apostolica, per non gravare sulla comunità, e perché non ci fossero ombre: perché fosse chiaro che non aveva secondi fini, non aveva altri interessi, nell’annunciare il Vangelo, se non che i Corinzi potessero conoscere Gesù Cristo e accogliere la sua salvezza.
Questo, secondo Paolo, dovrebbe diventare il criterio con il quale si esercita la libertà, in particolare quella libertà che il cristiano ha in Cristo. Per dirla un po’ schematicamente, Paolo direbbe: se siamo liberi, non è per fare i nostri comodi, non è per fare ciò che più ci aggrada, anche se ne avessimo il diritto; ma siamo liberi per compiere ciò che è bene, ciò che è giusto. Scrivendo ai Galati, Paolo dirà: siamo liberi; purché, però, la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo l’egoismo, ma, vivendo nella carità, impariamo a essere a servizio gli uni degli altri (cf. Gal 5,13).
Probabilmente questo è anche il senso che l’evangelista Marco vuol farci cogliere nella prima guarigione che Gesù opera, secondo il vangelo di oggi: in casa di Pietro, a Cafarnao, Gesù guarisce la suocera di Pietro, che era a letto per la febbre: «la febbre la lasciò ed ella li serviva» (Mc 1,31). Anche la malattia può essere e di fatto è una forma di schiavitù, in ogni caso una limitazione della libertà: è significativo che, liberata dalla catena della malattia, questa donna si metta al servizio.
Questa è la logica della libertà cristiana – ma io credo che lo si dovrebbe dire di ogni autentica libertà. Perché noi ci fissiamo molto sulla «libertà ‘da’…», sulla libertà in quanto assenza di vincoli, di legami, di forze che ci bloccano, ci tengono prigionieri; un po’ più difficile è riconoscere la libertà come «libertà ‘per’…», libertà come possibilità di realizzare ciò che è giusto e buono, libertà (ancora con Paolo) non semplicemente per fare quel che si vuole, ma libertà per fare il bene, libertà per edificare e non per distruggere; libertà, potremmo dire, per generare, libertà in vista di una vita feconda, ricca di frutti, per noi e per gli altri.
In questa prospettiva, credo che non sia difficile percepire il legame tra libertà e vita, perché intuiamo che allora non c’è vera libertà, se non è portatrice di vita, se non è generativa. Fino al punto paradossale che io posso anche rinunciare alla mia libertà, e persino alla mia stessa vita, perché altri vivano, perché altri siano liberi e vivi.

Oggi, non vogliamo dimenticarlo, è anche il giorno del martirio del nostro beato Alfredo Cremonesi: fu ucciso in Birmania – l’attuale Myanmar – il 7 febbraio 1953. Padre Alfredo non era obbligato a tornare al suo villaggio, Donoku, dove si correvano grossi rischi, nel corso della guerra civile che insanguinava la Birmania in quegli anni. Poteva stare al riparo in luoghi più sicuri, in attesa che le cose si calmassero; aveva questa libertà: nessuno gli impose di tornare alla sua missione, anzi!
Fu lui a scegliere di tornare al villaggio: perché voleva essere vicino alla sua gente, che pure era in pericolo; non voleva ripararsi, lui da solo, dietro la libertà di stare lontano. Tornò, sapendo bene che rischiava la vita; tornò – e fu poi ucciso – consapevole che la libertà del cristiano è quella di dare la vita: dare la propria vita anche nel martirio, se il Signore chiama a questo; in ogni caso, fare della propria vita un dono perché altri possano vivere.
Forse la scelta del beato Alfredo ci sembra estrema: ma a pensarci bene, abbiamo avuto, durante il tempo più duro della pandemia, non pochi altri esempi di uomini e donne che hanno messo a rischio la propria vita, senza esserne obbligati, in piena libertà, perché altri vivessero o potessero per lo meno ricevere le cure necessarie.
Sì, grazie a Dio ci sono ancora uomini e donne per le quali vivere nella libertà significa promuovere la vita, sostenerla, difenderla in tutti i suoi momenti e tutte le sue fasi; uomini e donne per le quali la libertà non vuol dire proteggere egoisticamente se stessi, ma sostenere la vita di tutti, e soprattutto dei più deboli, e promuovere così il bene autentico della società.
Lasciamoci sorreggere da questi esempi; soprattutto, anche nella celebrazione di questa Messa, chiediamo al Signore di rinnovare e sostenere in noi la libertà dei figli di Dio: libertà dal peccato che ci intralcia, libertà per essere anche noi, nella nostra vita, testimoni del vangelo e persone capaci di generare vita, di difenderla e custodirla, promuovendo il bene specialmente dei più deboli. Chiediamo di diventare sempre più responsabili – come ci è ricordato nel Messaggio per questa Giornata – di una libertà autentica e del sostegno incondizionato alla vita piena e buona di tutti.
E il beato Alfredo Cremonesi, missionario e martire, interceda per noi.